Lo Stufaiuolo by Anton Francesco Doni: A Synoptic Edition (V)
Edited by Elena Pierazzo[Valentiniana Manuscript]
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LO
STUFAIUOLO
DEL
DONI.
COMEDIA
Pietro Cesis, Vescovo dignissimo di Narni et [cetera]1Pier Donato Cesi (Roma 1521 - ivi 1586), membro della famiglia Cesi che fiorì fra l'Umbria e il Lazio fra i secc. XV e XVII, occupando diversi feudi pontifici. Pier Donato (detto seniore) fu vescovo di Narni fra il 1546 e il 1566 (cf. Dizionario Biografico degli Italiani). Sono grata a Marc Smith per lo scioglimento di et cetera; Smith pensa che uno svolazzo alquanto goffo (dal Doni?) sia stato aggiunto sopra il normale e c.
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a maggior gloria, come per riverir co[n] quelle i signori meritevoli: peró ciascuno che ne
fa professione, co[n] tutto il potere et valor suo, le consacra co[n]tinuamente a gli honorati –
signori illustri di quella etá. Ecco p[er] debito mio, et merito di V[ostra] S[ignoria] R[everendissi]ma ch’io vi porgo
un picciol mio presente d'una Comedia, accompagnata co[n] un saggio di musica, de suoi
intermedi;3 Gli spartiti degli intermezzi qui menzionati non sono stati localizzati. Doni era un musicista e un compositore molto rispettato, come dimostra il suo Dialoghi della Musica, pubblicato a Venezia nel 1544. Non nuova è anche la pratica di accompagnare le sue opere con pezzi musicali; si veda infatti il manoscritto delle Nuove Pitture, datato 1560 (Ms Patetta 364 della Biblioteca Vaticana) che contiene una serie di pezzi musicali dopo il testo principale. Tali brani rappresentano una curiosità codicologica: infatti le note sono rappresentate in forma di sonagli, campanelle, fori e topi (si veda l'edizione facsimilare Le nuove pitture del Doni fiorentino: libro primo consacrato al mirabil signore donno Aloise da Este illustrissimo e reverendissimo: Biblioteca apostolica vaticana, ms. Patetta 364, a cura di S. Maffei, Napoli, La stanza delle scritture, 2006) Se la diletterá alla S[ignoria] V[ostra] R[everendissi]ma mi sará cosa grata; & in piu honorato
luogo scriverró il nome suo, degno d’ogni honore, et d’ogni riverenza: p[er] mostrare al –
mondo, come sono stato sempre servidore alla Ill[ustrissi]ma nobiltá di casa CESIS, & co[n]
riverenza le bacio le mani: & infinitame[n]te mi racc[oman]do.
Servitor’
Il Doni Fiorent[i]no
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PROLOGO
come voi volete, Con tutte queste bellissime donne, siate i ben
trovati. E son forse parecchi mesi, che io mi acoppiai cosi postic =
ciamente,4Senza vincoli legali, more uxorio, probabilmente. co[n] una bella cortigiana Todesca; la quale come –
udirete ha presa la mia lingua tanto bene che la par nata –
in Italia come me. Io sono stufaiuolo de primi di questa Città
per che apicco, mirabilmente cornetti,5Strumenti usato per i salassi (GDLI), ma con riferimento alle corna, un tema ricorrente in tutta la commedia. & ho nome Gottardo, pur
di razza Todescha, ma sono attalianato benissimo, et p[er] questo credo che la Sig[nor]a Druda
che cosi si fa chiamare, m’habbia posto amore: Senza dirvi che la carne tira:~6Cf. La Mandragola, Atto III, sc. II.
havermi lasciato mio padre possessioni, sto qui a stufare, tenendo a camere locande. Et
pur hora come mi vedete sotto questa vesta nudo, della stufa io vengo. Lei sta quá; et
per una porta falsa ch’ella ha dietro (la casa) entro, et esco, et ella riceve i nudi stufati.
et usiamo ogni cosa sottosopra, lei et io p[er] indiviso.
et é questa di dire alle comedie, et se no[n] era questa ricca, et bella Tedesca che smania
come io mi spicco da lei; saria andato qui presso a fare il prologo a un’altra comedia detta
la Bolgetta, una favola di velluto; o io credo che la vi sodisfarebbe assai se la vedeste.
Horsu p[er] adesso no[n] voglio dirvi del fatto nostro altro. Io son quá per farvi un’argome[n]to
d’una nuova Comedia, un caso di poche hore, et spedirovvi tosto; poi che ho dirizzata
la fantasia, a cioche sommariamente la contiene, et no[n] istaró a menar la cosa lunga –
et lentamente, facendovi stentare come fanno i vecchi che dicono le cose loro adagio =
adagio, col tornare hora indietro, et hora con l’adoppiar le parole, onde la risolvono in
fummo. hora state fermi, et datemi dolceme[n]te udienza:~
[f. 4v]
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allevata in casa sua: tenete bene a mente, et state saldi, ch’io no[n] gettassi le mie parole al ve[n]to:
et si chiama Laura, una delle belle giovani di questa cittá, et p[er] le bellezze, sue é famosissima.
Ella ha due amanti, uno sta quí co[n] la mia cortigiana, un ricco mercatante fuor uscito scono =
sciuto, che se ne va in habito humile p[er] salvar la pelle, et ha la donna sua chiamata Maddalena,
la quale sta al governo della casa di questo mag[nifi]co & é una donna d’ingegno et Laura fa cioch[e]
la vuole et portagli un grande amore. In questa Stufa, l’altro inamorato fa no[n] so che rubame[n]ti –
et scambiamenti di panni, Onde aviene che quasi tutte le persone mutano habito: Tanto che
p[er] una scena, ne vedrete due, essendo gli strioni,7Attori. La forma si deve preferire all apure possibile "gl'istrioni", anche sulla base di "L’autorità del Carafulla, strione della mia comediadello Stufaiuolo (La Zucca, Ic 16 9). quasi tutti indue habiti sopra di quella:~
é cagione che ogni cosa torni a segno. La sta qui da lei infuori si traveston tutti; una bella tirata
vi prometto. Se starete cheti la Comedia si fará: et inparerete nelle stoltitie d’Amore a raffre –
narvi. Tollerete [sic] gli affanni, sempre sperando bene. Conoscerete che no[n] é da fidarsi del mondo:
sarete cauti nel tenere fante, et servidori, p[er] veder come sono tutti d’una buccia: et fuggirete le
pazzie della vecchiaia, le quali son’ molto licentiose. Et p[er] tenervi allegri, et senza sonno, vi so dire
che voi riderete di bei pezzi. Ma ecco apunto che sul meglio del dire, e mi vien da costor’ qua, rotto =
l’huovo in bocca.8Togliere bruscamente la parola. Io son forzato a no[n] seguitare piu l’argome[n]to. Attendete adunque a loro, che
piu inanzi entreranno co[n] la cosa, et meglio; p[er] che sará vede[n]do, un toccare quasi il fondo del vero.
ma no[n] lo credete altrime[n]ti, p[er] che quello che giá fu dadovero, é hora in comedia ridotto, et chia =
masi lo STUFAIUOLO, mi racc[oman]do Alle S[ignorie] V[ostre]:~
persone della Favola
Cesare, et
Maddalena sua donna
Laura moglie di m[esser] Niccoló,
Taddea sorella di m[esser] Niccoló.
Vincenzo inamorato di Laura
Caterina fantesca
Niccoló vecchio.
Gottardo Stufaiuolo
Bigio famiglio.
Corrieri.
Druda Cortigiana
Magnano:~
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LO STUFAIUOLO COMEDIA
ATTO PRIMO
d’esser vecchi. Hora tu vedi come io sono aflitto, et no[n] posso dire per che.~
della Patria tanto tempo, mai ti ha dato occasione si fiera di torme[n]tarti il core; lo havere
smarriti, o perduti due si cari figliuoli, l’essere come schiava, no[n] mi pesa, ne a te mai –
lo star cosi sconosciuti ti ha aggravato. No[n] ho io in petto, et nella cassa gioie, et danari
da provederti, se voglia alcuna di andare, di riposarti, o far qualche impresa che ti co[n]forti.
dimmi caro marito horamai la pena tua. Io son pur colei che ho tutti i tuoi secreti suggellati
nel cuore, p[er] che no[n] mi palesi tanta tua malinconia.~
prego ad aiutarmi, che puoi, et conservare questa vita, la quale é tua.
me[n]te, et sta di buona voglia, che p[er] la tua cento, et mille volte metterei la mia.
quella che mi priva di tutti i diletti, et della vita; et il tuo tanto amarmi, mi ha condotto al –
fine come tu vedi, volendo piu tosto morire, che palesarti tanto mio pensiero: se ti piace ch[e]
io muoia, che altro rimedio no[n] ho. Eccomi all’estremo; se due volte mi vuoi dar la vita, per –
donami, et aiutami: tu far lo puoi, ancora che mal fatto sia, ma contro alle forze d’Amore
in questa mia matura etá: no[n] ho trovato riparo alcuno che baste, a ogni altra cosa ho =
posto termine, salvo che a questo, che lo conosco errore universale; o Dio aiutami.
a tutte, o la maggior parte delle cose, ci si trova rimedio.
[f. 5v]
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medesimo punto m’hanno assalita. Il piacere della tua vita, et il dispiacere di lei
la quale so certo esser giovane honestissima, da no[n] la co[m]muovere p[er] alcuna cosa, o di pregio
o di valore: ella é tutta casta, tutta savia, tutta honesta, et mi pesa che questo tuo amore
no[n] sia in quale esser si voglia donna che io conosca, salvo che in costei: guarda sorte.~
di casa, vattene, et ritorna, ch’io faró tutto bene.
in ogni modo di giungerlo una volta sul fatto: se tu mi aiuti come mi hai promesso.
vecchio la fa viver discontenta, va poi tu; et maritati, co[n] questi, o simili huomini randagi.
che una volta ei creda di no[n] l’haver veduta piu, ei fa la pratica, e tre giorni gli bisognano
a mettersi in ordine, il tutto é che se ne vanta; quando egli é allegro dopo cena la sera,
et é geloso sopra mercato.
lo carico di villania, ma tutti i pari suoi in quella etá; o la piu parte; sanno di scemo.
mi posso io fidar di te.~ et senza farti piu parole, scongiuri, o preghi, poss’io realme[n]te sfogarmi –
teco, d’un mio segreto.~
tu lo dirai a te medesima, ma se tu no[n] lo puoi tenere, come lo riterrá un’altro.~ pure lo haver
bisogno di aiuto é forza. Se voi di soccorso a me possibile havete di mestiero,10'Avete necessità'. dite sicurame[n]te,
no[n] accadendo opera che io possi fare in vostro pró: tenetelo nel core; p[er] che molto meglio fia
allogato in voi, che in quale altra persona si voglia.
un bel forestieri inamorato di Laura io sono tanto invaghita, che no[n] so stare altrove che
in questa casa, p[er]che pochi giorni fallono, che due, e tre volte, egli no[n] ci passi, et co[n] il vederlo
mi quieto, benche poco.
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di diaccio inpastata. Io sono come tu vedi vedova, a pena viddi il marito, et mi pare
strano l’esser sola, et niuno cipensa.
da p[er] il mezzo basta.
tre persone, lo sapremo, altri nó.
piu particolarme[n]te.
et a me che son punta dal fuoco amoroso, asottigliatore de cervelli grossi: brevemente,
co[n] il nome di Laura, faremo uno inganno.
voletelo p[er] marito.~
gogna di casa, et vostra. Voi dite che amore e buon maestro in questi casi: ma egli é peggio
la cecitá della mente, che la grossezza del cervello. Laura no[n] ha ella marito.~ come
cotestui si troverrá ingannato come andrá ella.~
et altre cose assai come accade.
lor fantasia, poco si curerá di voi; io no[n] ci veggo nulla di buon taglio; pure il pensare
qualche hora sopra questo caso, potrebbe far nascere qualche buon fungo, in questo mezzo
consigliatevi co[n] il vero, et no[n] vi lasciate ingannare all’ombra.
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nuto in viaggi di nave, almanco no[n] mi havessi egli fatto havere giá due anni sono tanto otio;
che io no[n] sarei cosi trafitto dalla passione continua d’Amore. L'andar p[er] questa Cittá co[n] gli –
occhi fissi nel volto di questa, et quell’altra giovane, senza pensiero alcuno, mi ha condotto
a tal termine che io no[n] ho un hora di bene =
no[n] lo sapesse, no[n] havrei messo mano a quella strada. La padrona me lo ha fatto usare stasera
un’altra volta, et son tutta traffelata, p[er] la pena d’aprirlo: egli s’era come no[n] usato quasi
apiccato l’uno sportello co[n] l’altro. Io vo a chiamar’ la Taddea che venga a starsi stanotte
co[n] Laura: la poteva pur dimorare un’altro poco a andarsene che no[n] havrei havuto
questa stracca, di menar le gambe in fretta in fretta.
il fazzoletto. che v’é dietro.
[f. 7r]
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una faccenda p[er] lei che importa.
alla stufa da una cortigiana. La crede che no[n] tornerá peró manda per costei non
volendo dormir sola, per passar quei fastidi, quei pizzicori, et q[ue]lla malinconia.
la borsa; et portamegli una lettera.
veri; al primo colpo no[n] casca l’albero. a tre fazzoletti costei é mia certo. E si dice ancora
fico basso, et fantesca d’hosteria, palpeggiando si matura. Q[ua]n[do] un fico é basso, ogni uno lo
tasta s’egli é mézzo, tanto che in poche spremiture e gocciola, et cosi la fante di cucina,
hoggi viene un forestieri, et la tasta da un fianco, domani ve ne capita un’altro, et la –
stringe da un braccio: chi gli tocca, la mano; et chi gli mette le dita sotto, il me[n]to; onde in
poche settimane, ell’é cottoia. Costei poche spremiture pare a me, la ridurrebbono.
Ecco il vecchio, che maladetta sia la sorte: guarda chi gode si bel giglio. hor su io daró una
volta, poi che quest’uccellaccio va in muda; et poi ritorneró; chi sa.~
coloro che son discosto: se voi vedete che io son qui, che accade gridar Bigio Bigio, no[n] sapete
voi dire il bisogno v[ost]ro; fa cosi; et va cola.~ senza farmi tanto rispondere messere, messere.~13La battuta è analoga a La Zucca, IVc 53 7, dove viene attribuita al servitore del Doni.
vanno p[er] casa, et fisti15Il passaggio da skj to stj è tipico del fiorentino post-quattrocentesc (Paola Manni, (1979), "Ricerche sui tratti fonetici e morfologici del fiorentino quattrocentesco", Studi di grammatica italiana, 1979, n. 8, pp. 115-179, § 3). p[er] la via.
[f. 7v]
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quella della colonbaia, et quella del palco delle mele: quando alla prima ho detto tutte che
accade far queste Tanie.16'Tanìe': litanìe, storie (GDLI).
chi mi vuole insegnare: Che palandra hai tu da dottore, su la spalla, ripiegata.~ che ne vuoi tu fare.~
signore, et io fo mula di medico,17'Fare mula di medico': attendere pazientemente i comodi altrui, perdere tempo in attesa di qualcuno (GDLI). egli é questo freddo, io no[n] voglio intirizzarmi.
i becchini, tu sei il bel pazzo: So che io sto fresco a famiglio balordo.
cornetti su l’osso del cervello. aprite.
aprite et pagatevi.
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gnare a un fiorentino, et servire un Vinitiano, sono le piu difficil cose che si faccino, et
se voi no[n] me lo credete dimandatene quelle donne colá colá: che vanno, so ben’io.
dimino [sic] , et vuol vedere, et sapere chi vá, et chi viene: noi che habbiamo qualche vogliuzza
di comperare delle cosette, no[n] volete voi, che ce la possiamo cavare.~ la sarebbe bella
che sempre havessimo a stare a bocca secca.
a cotesto, no[n] mancherá mai di fare come ho fatto io.
vergognata, che i vicini vi stieno a sindacare, o a vedervi.
DEL PRIMO ATTO
FINE
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ATTO
SECONDO
sia Dio, che abruci, saetti, et infiammi il cuore di noi miseri amanti. O sciocco =
volgo accecato nell’ignoranza. Per dirlo in una parola. Io credo che Amore sia una
infirmitá di natura, che ciascuno ha nell’ossa. Una certa spetie sottile di doglia, me =
scolata co[n] un pensiero dilettevole, che no[n] si stima p[er] malattia. Apicasi questa bestiale
infirmitá p[er] piu vie, et pigliasi da ciascuno, et da tutti i tempi. No[n] é, per dire il vero –
male che paragoni questo, p[er] che é intrecciato co[n] la natura, et non viene da humori.
Egli é un sottilissimo fuoco che tal volta si porta nella parola: p[er] che nel raccontare
Le bellezze d’una donna, ancora che la sia di lontano, tu te ne guasti. Dio ne =
guardi ciascuno. Che cosa no[n] ha fatto l’huomo infuriato da questa febbre.~ et la –
donna.~ distrutto cittá, paesi, et regni: amazzato amici, strangolato rivali, tagliato
a pezzi parenti, et lor medesimi si sono apiccati. Per Amore, am.~ lieva la ga[m]ba:20'lieva la gamba': Dio ce ne liberi (GDLI)
La madre no[n] si cura del figliuolo; la moglie no[n] pensa al marito, ne ’l marito alla moglie.
Io co[n]cludo che Amore é un male senza rimedio: et io lo provo. No[n] so, se mi par di –
vedere in calze et giubbone fuor della stufa, il possessore di Laura mia vita. Egli é
certo: poi che mi ha dato due volte ne piedi, vo seguir la traccia; forse che Amore mosso
a pietá (se pure é vero che sia Dio) de miei torme[n]ti dará mano, a sollevarmi da ta[n]to dolore.
amorazzi, et quel che importa piu, la chiave della conclusione.
meglio é p[er] voi, p[er] che la notte vi parrá piu corta.
[f. 9r]
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che dovete penare un pezzo, tante cose havete da sdilacciare.
questi altri vecchi bavosi. havrai cura Bigio alla cassa de panni, p[er] amor di quella
borsa, tu m’intendi.
deratame[n]te, che mille savi pensieri, no[n] m’hanno voluto mostrare. Lasciami pensare
un poco: Io ho trovato l’inchiodatura.22Trovare l'inchiodatura: trovare il modo giusto per fare qualcosa (GDLI) La mi verrá fatta certo. O lá, o la, padron
Gottardo; Stufaiuolo o lá.~
sapete come son fatti: state cosi un poco, come pare alla S[ignoria] V[ostra] et poi venite, et spogliatevi
venitevene dentro alla sproveduta, Io saró la intorno al ge[n]tilhuomo, et co[n] qualche
trattenime[n]to, dando un colpo sul cerchio, et uno su la botte, laveró ancora la S[ignoria] V[ostra] ta[n]to
che a un’hora medesima, finiró l’uno et l’altro.
Ho pensato uno inganno (o sorte, questa volta, et poi no[n] piu) pur che la mi riesca.
Io credo che in questa cittá, che é tanto popolata di varie nationi, ci accaggino di belle
novelle. Io ne só quelle quattro, et no[n] son piu che due anni che il mio mercatante mí –
lascia star qua fermo. Chi ci ha daspendere gode di buon bocconi; ma ce ne sono ancora
de gli strangolatoi; questo di Laura é uno. Gran cosa, che no[n] ci sia mai stata ruffiana si
suffitiente che bastato gli sia l’animo d’afrontare quel Torrione, tutte dicono che la rocca
é ispugnabile [sic] ; anzi piu, che l’assedio no[n] la farebbe arendere. Pure le son certe cose, che –
Dio sa come l’andasse, a quelle strette, ci sono di mali passi. Il letto, il buio, la comoditá;
la fragilitá, i danari, la fede del secreto; fanno gran violenza. Io no[n] vo dire come molti
p[er] no[n] far carico alle buone, che le sien tutte d’una lana, p[er] che l’esperienza mi fa credere
al contrario. Egli é meglio che io vadi dentro inanzi che coloro s’appressino, che no[n] si vo –
lessero stufare ancor loro. et veder sel mio pensiero debbe havere effetto, e trar sul libro
della sorte improvista, co[n] i dadi falsi dello inganno; et chiarirmi in effetto se a Vinegia
ne posso far io, ancora una; o savia, o pazza che la mi riesca; co[n] questa passione
et co[n] questo batticuore, no[n] ci é ordine a vivere.
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mette, et siate co[n] i vostri signori della Cittá, giustificato benissimo.
Questa é la mia habitatione, a canto a questa stufa. Quá é la porta principale, la –
padrona che tiene a camere, si chiama Druda T
lettere domattina, a che hora voi volete, o io ve le porteró a Rialto, et se vi piace allog –
giar meco potete star qua[n]to vi torna bene. Questa é la mancia della buona nuova
godi questi scudi p[er] amor mio.
fida nelle sue promesse. No[n] é si tosto distrutto in bocca il Zucchero, che l’apetito ti fa venire
un’amaro desiderio di qualc[he] altra cosa. La nuova del ritornare alla patria, é dolcissima
ma il lasciar Laura, é un fiele crudelissimo; o Sorte, O Destino, che crudeltá son queste.~
che voi siate inanzi co[n] gli anni.
liberame[n]te m’é concesso.
cose da no[n] se ne maravigliar molto, poi che tante esperienze di giorno in giorno se ne
son’ vedute. Le cose de gli stati son molto tenere, et si vede tal moscha che pare uno elefa[n]te.
pessimi i quali bene spesso comodame[n]te hanno le loro orecchie; nelle quali scolpiscono
la malitia. Quella Città e beata, et beato quel signore, che ha ministri giusti, et male
p[er] quelle dove vi regnano i vitiosi. Q[ua]nti cittadini di mala me[n]te che governano, aspettano
l’occasione da poter profondare un’altro cittadino, o dargli una ferita su l’honore.~
et su la roba: et se bene é á torto, fatto che egli é bisogna che sia diritto; ne di questi –
casi bestiali, o accidenti del mondo, se ne puó assegnare le ragioni, p[er] che la veritá stá
di sopra: ma lasciamo questa tragedia, dove andate voi cosi bella.~
tra le pelli, et la comoditá della gondola, no[n] si sente in si poco spatio il freddo: et non –
ad altro fine, se no[n] p[er] ischivare un fastidioso mag[nifi]co vecchio: il quale tre giorni sono mi tor –
me[n]ta, et io no[n] attendo piu a baie come sapete: p[er] che voglio poter’ co[m]parire fra le donne daBene.
[f. 10r]
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di si ma sará nó: Eccovela leggetela di gr[ati]a, poi che q[uest]o Lume di Luna vi serve si bene
la signora Druda Zucchero rosato del mio stomaco mag[nifi]co
amore et concluso sopra le prove fatte a diverse signore venute di nuovo nella nostra Città
domina domina[n]tium, i favori ch’io posso co[n] ogni tacca di persone, et panni oro: peró che vale
assai i pari miei mag[nifi]ci fu del quondam Clarissimo M[esser] Bernardo. Hora a gli ufitij delle
pompe procuro:23Il magistrato alle Pompe si occupava di sovraintendere al rispetto delle leggi suntuarie. et hora a signori dinotte disputo.24I Signori di Notte erano la principale magistratura criminale delle Venezia dogale. Devono il loro nome al fatto che inizialmente la loro giurisdizione si limitava a crimini commessi di notte; col tempo li reati di loro competenza si allargarono molto, il che contribuì all'assunzione dei Signori di Notte a un ruolo centrale nella magistratura veneziana. Desidero adunque esseguire stasera da quat =
tro hore in la, tanto mio amore strenuo. Cedino le vostre fulguree beltadi invitte, alla ser =
vitú del vostro schiavo infangao,25L'espressione è curiosa e potrebbe avere connotazione dialettale (l'uscita -ao per -ATUS è tipica di alcune parti della laguna veneta). Potrebbe tuttavia trattarsi di una semplice svista dell'autore-copista. et tutto crocifisso: la onde co[n] questo aureo san marco;
la mag[nificen]za mia, vi bacia la Zecchina mano.
mai le carni:~
quello un Zecchino, am.~
sarebbe un baccano, dove pare un paradiso. Qua[n]te buone leggi ci sono.~ et comoditá rare.
piu che in citta d’Italia. Non é questa una bella cosa, che un pari mio possi andar solo.~
et sconosciuto, et aco[m]pagnato a suo piacere.~ Un Duca, un prelato, et un signore, ha
uno spasso estremo di questa incognita familiaritá. Ma torniamo al magnifico la S[ignoria] V[ostra] si –
riduca a casa, p[er] che se voi no[n] vorrete dargli fatti.~ daretegli parole, et no[n] beffate
cosi, p[er] nulla no[n] lo fate.
vegga far queste cirimonie fuor di proposito la notte.
Che si son trafugati p[er] non so che corte, et inzuccato bene bene,26'Inzuccare': bere vino oltre misura (GDLI). et hora dormono come tassi. se io
posso ordir la tela: spero di farvi ridere. Io vo de[n]tro, p[er] che chi ha tempo; no[n] aspetti Tempo:~
FINE DEL II ATTO.
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ATTO TERZO
dea vedova, Vedova in qua[n]to all’usanza di questa Città; ma il marito era in Aleppe27Venezia aveva aperto un proprio consolato ad Aleppo (Siria), in territorio Ottomano nel 1548, che è probabilmente il periodo in cui la commedia fu scritta (cf. Introduzione); non è escluso quindi che questo possa essere un allusione all'evento. q[ua]n[do]
gli fu dato p[er] man d’uno altro l’anello, et nel venire é affogato. Lei adunque che le pas =
sa il tempo; s’é scoperta co[n] tutti d’essere inamorata d’un guasto di Laura che la muore;
e no[n] se tu quel desso; et cosi dice no[n] havere ne giorno ne notte un hora di riposo. Laura
si ride di costei da un canto: et dall’altro piagne d’essere annegata in un bicchieri d’
acqua co[n] quel vecchio; il quale oltre che le fa cattiva diacitura, ogni settimana e –
va da questa, et da quell’altra Zambracca a vettura. ma noi lo vogliamo stanotte
corre alla stufa, la da te: nella quale sua mag[nificen]za si debbe lavare
fede di ritrovare un giorno, al meno, uno de miei figiuoli.
e tutto. et Gianni Batino no[n] ha forse de contrasegni cinque, su la vita.~ no[n] vo se no[n]
quello del cece, sotto la popa manca.
condurró dalla Druda, che la metta in suo scambio a canto al vecchio: siate d’accordo voi
che io ve la lasceró in casa.
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si trovó mai la piu amorevol’ donna inverso il suo marito.
che si vede, et l’altra nó: La prima é mantenersi: l’altra il sostentare la sua pazzia.28Lo stesso adagio si ritrova in La Zucca, IVb 49 47.
No[n] bastano i travagli del mondo che mi danno affanno da una parte, che dall’altra, la
pazzia d’amore no[n] mi sia a cuore. E si suol dire che nelle cose averse il ricco si sa =
prosperare, ma in questi mia passati, et presenti travagli, no[n] mi hanno ancora saputo
fare questo servitio: in modo che l’huomo ha da ringratiare piu Dio d’esserci nato savio
che ricco;29Anche questo proverbio si ritrova in La Zucca, IVb 43 32. che se cosi fosse, Io no[n] sarei in questi laberinti. Se io mi sviluppo adesso, mai
piu mi aggiro p[er] si fatte strade. Lasciami andare in casa, a co[n]durre il resto della mia
pazzia a fine. Io odo ridere, pur che qualch’uno no[n] m’habbi sentito: a suo posta egli
va in la; et io in qua.
Dal viso infuori no[n] paio io, il mag[nifi]co.~ incambio di stufarmi, io vo veder di coricarmi in
un letto. Come bene ho fatto il furto di questi panni sotto a quel gaglioffo: e dorme si
sodo, che no[n] lo desterebbono le bombarde. Il vecchio, v’é p[er] due hore ancora; egli sta
al caldo, del quale se ne rifá; et é entrato in un cicaleccio de suoi amori lungo lungo.
Lo Stufaiuolo che é forchebene, dice, madesí, e tira il cordovano,30'Tirare il cordovano': burlare, prendere in giro (per una spiegazione approfondita dell'origine dell'espressione cf. La Zucca, IIIc 7 10). et aspettami: et io
in quá; pure ch’io torni a tempo. da rimettere i panni al luogo suo bene stá: Ecco
la chiave, ecco il lanternino da ladri, potró vedere per tutta la casa. Sta io sento sputare,
Dio m’aiuti: no[n] mi fare stentare chiave: la vacca é nostra, dentro de[n]tro.
primo sonno: pur che noi giunghiamo la gallina sull’huovo basta.
e riescono un’altra cosa al beccare.
ma noi paiamo due signori.
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che io ti ho detto:
mai si usó, Io sono stata a orecchiare a luscio, et m’é parso di sentire, che la
lettiera si scommette tutta, del resto la casa é netta di brigate come un bacino da
barbieri;
andare a cercar’ del Bigio alla stufa: ma Eccolo che ne vien piangendo, de vedi figura
o vedi fantocciaccio in giornea.
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in tanto torneranno le donne.
in camera, co[n] dire che aspetti il vecchio, e v’andrá il v[ost]ro Cesare.
lascio il carico a voi.
Che vuol dir’ quest’uscio aperto.~ Che sará mai, il vecchio é pur nella trappola. Dio voglia
che quel famiglio porco, et la n[ost]ra porchetta no[n] habbin fatto qualc[he] maladitione. Semp[re] ci
nasce qualche matassa da sviluppare. Intanto io entreró di qui: et serreró l’uscio, chi
vorrá poi venire in casa; mi fará motto:~
DEL TERZO ATTO IL FINE
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ATTO QUARTO.
a una: ma questa volta le felicitá, mi son venute a un tratto tutte.
una Stufa a diventar’ (p[er] amor) ladro: e truffatore, et in una patria lontana dalla mia,
tante centinaia di miglia; a ristio di capitar male; travestitomi, aperto porte, cercato case
le son faccende ch’apena si credono.
nutrite, et alla fine mi son condotta a condurre la povera figliuola, a cercare i difetti del
marito. Ma questi discorsi no[n] son peró d’allungargli piu. Io andró a Laura: della Taddea
l’é fatta: come io torno s’acomoderannno tutte le differenze. vattene al letto.
so che pian piano, poi volle il lume, et mostrogli le braccia, et le spalle, e ’l petto, tanto
che egli entró in un pianto dirotto che mai ha fatto altro che baciarla, et chiamarla figliuola.
et piangere dirottame[n]te. O la voi piagnete ancora voi: no[n] habbiate dubio nessuno che no[n] ha
fatto cosa alcuna.
[f. 13r]
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anch’ella d’un maggior diletto, et voi, e tutti. hor ditemi un poco che fu di messer vecchio.~
bravó, et pregó: ma nulla gli valse, ne fu di giovame[n]to. Credo che si gettasse vinto dal
sonno sul lettuccio dello stufaiuolo a dormire. Uditelo che grida a corr’huomo la dalla
stufa. E vien fuori ge[n]te, entriamo, in casa noi.
mio pari, si em.~ a signori dinotte criminali; Truffatori, cani; A un ge[n]tilhuomo am.~
Si che oltre al rubarmi, e asassinarmi, voi m’havete amazzato il mio Bigio. Io ti vo fare
impiccare stradaiuolo, no[n] istufaiuolo. Lascia lascia che io mi vadi a rivestire, vedrai se
io ti gastigheró. Vinegia no[n] é miga32La sonorizzazione della velare intervocalica (miga per mica) è tratto tipico del veneziano, e una delle poche caratterizzazioni linguistiche dei personaggi in senso settentrionale. il bosco di baccano,33Il Bosco di Baccano (oggi Valle di Baccano) è un'area boscosa situata a est del lago di Bracciano, attraversato dalla via Cassia e famoso dal Medioevo in poi per essere infestata dai ladri. o le mo[n]tagne dove venne tuo padre
di Tedescheria: aspetta pure.
truffarvi i panni, et fuggirsi gli é caduta la borsa co[n] la cintola, et io ve l’ho co[n]servata
o l’é dura i danari ci debbono esser dentro confitti.
havete amazzato il poveretto del famiglio. o povero Bigio, almanco havessi tu potuto dir
tuo colpa, dell’havermi fatto arrovellare, et biestemmare.
un pennacchio nuovo di trinca, et una spada che val cento, ve cento;34Il passo non è chiaro, forse semplice dittografia. et poi cento mozzanighi,
per una vesta, et Dio sa come l’era.
et35Non è chiaro se la ripetizione della congiunzione sia da imputare a errore o alla volontà di aumentare l'espressività dello scambio alquanto concitato. Il fatto che la congiunzione appaia alla fine della riga e sia ripetuta all'inizio della successiva, oltre al fatto che tale ripetizione non sia presente in R, fa pensare piuttosto all'errore. Nel dubbio si è comunque preferito ritenere la ripetizione. che havete fatto andar via il famiglio co[n] i vostri, p[er] tradirmi, et asassinarmi in casa mia.
parti egli che p[er] una volta io sia stufato. Oime, la saracinesca della mia porta é aperta: La
mi pare tutta sforacchiata. Tic, tac, Toc.~ ta ta ta tac: Son’ eglin morti costoro. Tic. tac. toc.
L’é pur la casa mia, s’io no[n] dormo; Questa sarebbe bella ch’io sognassi: truffato, rubato, asassinato,
spogliato, et peggio fuor di casa: Io camino pure, io debbo pure esser desto Ou, Ou, tic, tac,
Laura, Madalena, Caterina, forse ci sará dentro il famiglio, et messosi adormire, et a quest
hotta quei di sopra lascerebbono piu tosto la casa rovinare che disagiarsi. Credendo che io hab –
bia la Chiave. Il poltronaccio, q[ua]n[do] si ficca il capo in seno, e pare un sasso si dorme sodo.
E si: e’ sará morto. Sará meglio che io vadia p[er] un magnano, et faccimi aprire, altrime[n]ti
[f. 13v]
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no[n] ci veggo grascia di andar dentro. tanto é de cattivi partiti bisogna pigliare il migliore.
Vedi a quello che é condotta la mia magnificenza. ma inanzi ch’io vadia, voglio tastare
se l’uscio di dietro fussi mai aperto: et poi faró la via di lá:
su la tavola dove ell’era: vogliamo noi andare su qualche ballo in maschera: tu vedi se
altro no[n] ci accade, noi siamo padroni, che ogni uno s’é perduto.
se la Caterina stará forte peró.
ogni modo, no[n] sara veduto aperto.
tolte coteste maschere.~
ci togghiamo, marito et moglie.
a Poppi co[n] un boschetto intorno intorno.
che sono quasi i[n]salvatichiti, p[er] non havere un’hortolano che ci attenda, gagliardo di buon –
nerbo, a modo mio; o frutterebbe bene.
dimestichi, et saporiti.
smosso, soffice soffice, et p[er] tal segnale vi fanno naturalmente i fichi lardegli tanto lunghi.
debbe essere il Bargello; volta Caterina volta.
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stornegli. mettianci le maschere, et fermianci.
le voglie servono pure a qualche cosa.
narla in letto la riconobbi a quella macchia grande su le spalle, et me ne certifichai co[n] il
resto, et co[n] dimandargli, se la si ricordava, d’essere stata menata via co[n] suo fratello.
una sagace donna; et voi m[esser] Cesare che vi ha tenuto su la corda tanto.~
influsso.
vedete la m[esser] Niccoló, p[er] la mia fede ch’egli ha seco una femina: egli ci ha veduto. Questa
cosa fara p[er] noi.
ci sará di nuovo certo: finiranno mai tanti garbugli.~
dolcezze, all’amicitie, et pare[n]tadi. Do vecchio senza cervello, é questa hora d’un pari v[ost]ro
d’andare in maschera a torno.~
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maschere, e andate Carnescialando, insino che havete sonno: se verrete mai a Padova ci –
rivedremo.36Il riferimento a Padova, qui e altrove, non è altrimenti chiaro. Forse si tratta di un riferimento generico a un'altra città, oppure di un adattamento geografico del proverbio "A Lucca ti vidi", con significato di incredulità, come in Atto IV, Sc. IV. andatevi co[n] dio.
et fantesche poi: fidatevi brigate di si fatte generationi.
pianto tanto: inanzi ch’io pianga di nuovo piu mi riposeró un poco, et la Druda verrá
anch’ella a mutarsi d’habito.
DEL QUARTO ATTO IL FINE.
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ATTO QUINTO
hai penato un hora a vestirti.
nesca, tu no[n] mi rovinassi qualche ingegno.
rimesso insieme tali ri[m]brencioli di toppa, che p[er] volerla aprire co[n] chiavi che no[n] vi si
affacevano, erano tutte strambellate, una cosa brutta da vedere.
l’havete mai guasta: chi l’ha tocca testé.~
o egli puo mettere, et cavar fuora; la roba q[ua]nto gli piace. Alla padrona no[n] debbe pia –
cer molto.
come quelle del tuo paese.
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io mi posi qui incantonato, o insin’ che passi la guardia, che mi conoscerá p[er] gentilhuomo.
et va riparaci, porta a casa i panni.
getta via cotesto brachieri, e andiancene a casa nostra, so che no[n] vi sará nessuno. Io –
voglio che tu ti ritiri dalla parte di dietro, o vorrai quella dinanzi. forse che le stanze
di la piaceranno piu, p[er] esser piu fresche; et starenci da vecchietti, a ogni modo del
padrone no[n] se ne sá nulla: et le donne si vanno co[n] dio. Se noi affittiamo, se ne caverá
un buondato di pigione; la sala é grande, et le camere dentro sono assai.
giare tal volta, che é fornito d’asineria, no[n] so come tu starai patiente, al suplire di qua
et di la a tanti.
ne gioverá pure a tirar quelle poste, ch’empiono la mano di que mozzanighi larghi
et marcelli.
indosso, dove gli hai tu havuti.~ Quest’altra massara chi é.~ volgi il viso.
[f. 16r]
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voi siate sí bello di velluto, o voi siate bene si ben vestito: voi dovete andare in ufitio
potestá alle Bebe p[er] la signoria,39La Torre alle Bebe, roccaforte presso Chioggia che tradizionalmente marcava il confine dei possedimenti di Venezia e Padova ebbe un Podestà a partire del sec. XII fino al 1607 (Da Mosto, p. 14). o a Bergamo.
su la vesta, che la tavola era serrata, et la berretta.
nava forte forte la v[ost]ra lettiera dove dorme madonna Laura.
Maddalena, Uno imbasciadore, una Reina, che so io, il Doge, con la signoria, tutti, tutti,
si ridevono di voi, di me, et della fante.
la vi diceva poltrone, puttanieri, Stufaiuolo, vacco, lupa, e asassino, la no[n] disse a voi
ne, a me; p[er] che io no[n] era voi, et la maschera no[n] era me.
Il fatto stá che io sono in un viluppo grande, et son’ p[er] cadere da tutti gli squittini, infino
da panni oro: Sia come si voglia, o povero Niccolo. Andate la in casa ch’io voglio di
questa dimenata di lettiera chiarirmene affatto.
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stiere.~ ve lo dissi pure.
aprire da un canto, et dall’altro.
la che ’l diavolo ve ne porti.
quella Marchesana.
furfante la sfoggia.
nome, hora ci conviene palesare; et co[n] quello honore ritornare a Genova, che si co[n] –
viene: havendo giustificato il mondo co[n] l’innocenza mia, et son padre di Laura;
et mi chiamo dirittamente Gregorio Spinola.41La famiglia Spinola è una delle più importante famiglie dogali di Genova.
casa, e cioche io ho, é v[ost]ro: et della v[ost]ra donna. O moglie mia cara che allegrezza
havrai tu. Oime, Oime, che dolcezza grande.
et verranno tutti meco a Genova, dove staranno benissimo. Ell’é q[ue]lla cortigiana v[ost]ra.
Io, la mia donna, et lei venivamo stanotte p[er] notificarvi il tutto: e trovarvi intorno a
quella porta che la mag[nificen]za V[ostra] volle forzare; per amor di costei hora da bene.
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panni, p[er] farvi (a parlar netto) vergogna in casa: Chi la tolse, et come l’é andata
udirete, come tutti siamo in casa.
p[er] veder che spirito era quello tentennava la lettiera.
tal mi diceva ignudo, poltrone: che mi dará hora vestito del signore. Hor su il mo[n]do
é una gabbia da pazzi. La Virtú no[n] vale una stringa: se la no[n] ha di quei tiffi taffi 42Tif taffii: suono che imita il fruscio o lo sfregamento dei tessuti (GDLI).attorno.
come si sente sonar quella seta, le sberrettate volano; signor si, messer quá, et mag[nifi]co la.
Se fusse l’Imperadore, in un saio di cottone, e toccherá del tú. Facciamo a dire il vero –
che cosa é la ricchezza sola, alla fine.~ Et pur di tutti i ricchi é tenuto conto: (da i piu dico)
che de virtuosi. Io ho lavato nella mia stufa di grandi huomini, iquali venivano de[n]tro
nudi; io no[n] conoscevo differenza alcuna, et la mandavo tonda43In malora. all’uno, et all’altro.
Ma poi nello spogliatoio; questo era di velluto, et quell’altro di saia: in modo che io –
attendevo a quelle sete; et lasciavo il panno da un canto. Vien veggendo poi, i –
mal vestiti erano i sapienti, et mi dicevano di belle cose. Et quegli altri parevano
un pezzo di carne co[n] due occhi. Vedete a cioc[he] noi siamo sottoposti, p[er] la spera[n]za di
tre quattrini di piu, e tal volta la va di pari. noi siamo schiavi de ben vestiti. Volete –
voi altro che mi crepa il cuore di si fatta stoltitia del mondo. Se lo dicessi un morto;
tutti habbiamo a essere alla fine nudi. No[n] ne porterá piu il Re, che ’l filosopho: Tanto
varrá il lino, qua[n]to la stoppa. Basta, ringratiato sia Dio; Io sono uscito di Stufaiuolo,44Da intendersi sia come professione che come appellativo.
dice bene il vero, chi ha d’haver ve[n]tura: sia dove si voglia: poco senno basta, la lo trova
in sin’ nelle stufe. Io me ne andró a Genova co[n] questo ricco mercata[n]te; con la Druda
la quale sposeró (forse in v[ost]ra presenza) come ho dato la fede: et usciró di stenti. Ho –
quanti casi inpoche hore sono accaduti.~ ne vedrete de gli altri, et qui e altrove, il mo[n]do
é sopra un certo carro, che gli sdrucciola malame[n]te: Lasciami accostare, et entrare
un poco nella lega de ge[n]tilhuomini, et del signor si, et signor nó, bacio la mano, et servitore.
in effetto il mondo é una comedia che no[n] ci manca nulla. Tic, toc, tac, toc, Dio sa
se sentiranno battere, in tanto piacere debbono essere. Tic toc.
[f. 17v]
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che quello che mi rubó i panni, et la Chiave mi dette da imbriacarmi; era fratello di
Laura, et era inamorato di lei, et no[n] sapeva che la fosse sua sorella. Il bello fu che egli
entró nel letto p[er] contrafar messere, et in cambio di madonna Laura vi trovó la Taddea
che dormiva; vedi bella cosa, apunto l’era fracida di lui, et fecion nozze.
et gli ha fatti torre per marito, et moglie: et io ho presa la Druda Cortigiana.
sul letto piu tre volte.
Lasciami andar di sopra, a farmi vedere.
travagli, che noi fussimo insieme co[n] tanto diletto.~
nabó che gli ho dati: et darognene de gli altri.
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che sien possibili: quelle del Bigio si faranno magrame[n]te. Chi vuol di quelle buone
et grasse, se ne vadia, et chi di quelle di Caterina torni un’altro giorno. Delle mia
a dirvi il vero no[n] mi basta l’animo di dir venite domani; come voi mi vedete cosi mi
scrivete: Sel signor mercatante mi donerá qualche cosa che io le possi fare; sarete
de primi invitati. Per istasera, voi siate licenziati:~
Il fine della Comedia:~