You are viewing the archived content of Scholarly Editing, Volumes 33 – 38 issued between 2012 and 2017. Go to the new site.

Scholarly Editing

The Annual of the Association for Documentary Editing

2015, Volume 36

Lo Stufaiuolo by Anton Francesco Doni: A Synoptic Edition (R)

by Anton Francesco DoniEdited by Elena Pierazzo

[Riccardiana Manuscript]

  • View Riccardiana manuscript's:
  • Diplomatic Transcription
  • Editorial Normalizations
Allo Illustrissimo Signor, il signor Iacopo Piccolouomini, mio signor sempre osservandissimo1Probabilmente Giacomo Piccolomini, Duca di Montemarciano signore di Camposervoli, nato intorno al 1520, e padre del famigerato bandito Alfonso. La famglia viveva probabilmente a Siena, dove a quanto are nacque Alfonso. A Montemarciano

LO STUFAIUOLO, COMMEDIA DEL DONI FRANCESCO

Allo illustrissimo signore, il signor Iacopo Piccoluomini, mio signore Poiché la cortesia ha trovato il proprio nido suo nella casa sempre illustrissima e eccellentissima, e che la nobiltà veramente ha posto il seggio ne la persona vostra illustrissima e degna, io obligatissimo servitore d’un sì mirabile splendor di sangue e di virtù, vengo con questo debil principio e picciol dono a presentar la Signoria Vostra illustrissima, insino a tanto che seguendo con maggiore opera io possi scolpire nell’eternità del mondo quanto sieno i meriti di quella e il debito della servitù mia. Il Doni

La scena è la città di Vinegia

PERSONE DELLA FAVOLA

Cesare, e

Maddalena, suo donna;

Laura, moglie di messer Niccolò;

Taddea, sorella di messer Niccolò;

Vincenzo, inamorato;

Caterina, fante di Laura;

Niccolò, vecchio;

Gottardo, stufaiuolo;

Bigio, famiglio;

Corrieri;

Druda, todesca cortigiana; e un

Magnano.

PROLOGO

Signori spettatori, voi insieme con tutte queste nobilissime e bellissime donne, siate i ben trovati. E’ son forse sei mesi che io mi accoppiai così posticciamente3Senza vincoli legali, more uxorio, probabilmente. con una bella cortigiana tedesca, la quale, come udirete, ha presa la lingua tanto bene che la par nata in Italia. Io sono stufaiuolo, de’ primi di questa città perché appicco mirabilmente cornetti,4Strumenti usato per i salassi (GDLI), ma con riferimento alle corna, un tema ricorrente in tutta la commedia. e ho nome Gottardo, pur di razza tedesca, ma sono attalianato benissimo e per questo credo che la signora Druda, ché così si fa chiamare, m’abbia posto amore, e per tenere del sangue del paese, meglio sodisfò all’apetito suo; e poi la carne tira.5Cf. La Mandragola, Atto III, sc. II. Ora io sto qui a stufare, tenendo a camere locande, e pur ora come mi vedete sotto questa vesta nudo, della stufa io vengo. Lei sta qui acanto, e insieme per una porta falsa che l’ha dietro, entro ed esco, ed ella accomoda da ogni parte ne’ letti i nudi stufati. Così usiamo, ogni masserizia sottosopra, lei e io per indiviso. Io son qui adunque per farvi uno argomento (ancora che io non sia speziale) d’una nuova commedia, un caso di poche ore e spedirovvi tosto, poiché ho rizzata la fantasia acioché sommariamente la contiene. E non istarò a menare la cosa lenta o lunga, facendovi stentare come fanno i vecchi che dicono le lor cose adagio, agiatamente, col tornare ora indietro e ora con l’adoppiare le parole, onde la risolvono in fummo. Porgetemi voi donne da un canto, e voi uomini dall’altro, gratamente udienza.
Uno il quale veste da magnifico (s’egli è poi io non lo so) sta in questa casa e ha una moglie che tolse per amore, una fanciulla genovese rubata con un suo fratello per la guerra, poi allevata in casa sua, e si chiama Laura, una delle belle giovani di questa città. Ella ha due amanti: uno sta qui con la mia cortigiana, un ricco mercatante sconosciuto, credo io che sia fuoruscito della sua terra, e ha la donna sua chiamata Maddalena, la quale sta per governo in casa questo che magnifico si chiama: una donna certo da governo. In questa mia stufa l’altro inamorato fa non so che rubamenti di panni, onde voi vedrete variar molti abiti. Alla fine una vedova, la quale è sorella di questo che gentiluomo gli pare essere, ed è inamorata d’uno di quegli amanti di Laura, e lei è cagione che ogni cosa torni a segno: sta qui, e da essa in fuori si travestiscono tutti: una bella rinvoltura vi prometto. Se starete cheti la commedia vi parrà più bella e v’insegnerà nelle stoltizie d’amore a raffrenarvi; imparerete a tollerare gli affanni sempre sperando bene; conoscerete che non è da fidarsi così di donne in tutto; sarete cauti nel tenere fante insieme con il famiglio perché vedrete di che tacca e’ sono, e fuggirete le pazzie della vecchiaia, le quali son molto licenziose. E per tenervi allegri e senza sonno, vi so dire che voi riderete quasi dal principio alla fine. Ma ecco apunto chi di qua viene per cominciare a recitare: attendete adunque a loro, che più inanzi entreranno con la cosa e meglio, perché sarà vedendo come se voi toccaste con mano. Ma non lo crediate altrimenti, perché quello che fu già da dovero, è ora ridotto in commedia e chiamasi lo STUFAIUOLO. Mi raccomando.

ATTO PRIMO

Scena Prima

Cesare e Maddalena
[Cesare]
Tu sai la compagnia che io ti ho fatta tanti e tanti anni, che oggimai possian dire d’esser vecchi; ora tu vedi come io sono afflitto e non posso dire perché.
Maddalena
Questo è il mio dolore, di non saper qual cagione ti stringe a tanto martiro. Lo esser fuori della patria tanto tempo mai ti ha dato al cuore tanto tormento, lo avere smarriti, o perduti, due figliuoli, lo essere quasi schiava non mi pesa, né a te mai lo star così sconosciuti ti ha aggravato. Non ho io in petto e nella cassa tante gioie e danari da provederti se voglia alcuna di andare, di riposarti o far qualche impresa che ti conforti? Dimmi caro marito oramai la pena tua! Io son pur colei che ho tutti i tuoi segreti suggellati nel cuore: perché non mi palesi tanta tua malinconia?
Cesare
Poi che tu mi stringi con l’amore da un canto e lo esser condotto vicino alla morte dall’altro, io ti prego ad aiutarmi, che puoi, a conservare questa vita la quale è ultimamente tua.
Maddalena
Io vo pur pensando dove viene il male tuo. Venga dove si voglia, di’ via allegramente, ché per aiutarti son per metterci la propria vita!
Cesare
Ecco che non senza rossor di viso e con gran fatica, io mando fuori questa parola: Laura è quella che mi priva di tutti i diletti e della vita. E il tuo amarmi mi ha condotto al fine, come tu vedi, volendo piutosto morire che palesarti tanto mio pensiero. Se ti piace che io muoia, ché altro rimedio non ho, eccomi allo estremo. Se due volte mi vuoi dar la vita, perdonami e aiutami: tu far lo puoi, ancora che mal fatto sia, ma contro alle forze d’amore, in questa mia matura età, non ho trovato riparo alcuno che baste. A ogni altra cosa ho posto termine, salvo che a questo che lo conosco errore, errore certo potente, errore da fuggire. Aiutami o Dio!
Maddalena
Ritorna in te, sta’ allegro e pensa che a tutte, o a la maggior parte delle cose, ci si trova rimedio, se non tutto, in parte!
Cesare
O quanto è infinito l’amore che tu mi porti!
Maddalena
Certamente che da capo alle piante tutta mi son commossa, percioché due estremi casi in un punto medesimo m’hanno assalita: il piacere della tua vita e il dispiacere di lei, la quale so certo esser giovane onestissima, da non la commuovere per alcuna cosa o di pregio o di valore. Ell’è tutta casta, tutta savia, tutta onesta e mi pesa che questo tuo amore non sia in quale esser si voglia donna che io conosca, salvo che in costei. Deh guarda sorte!
Cesare
Maligna per me, poiché la mi torrà la vita!
Maddalena
Non dire altro ché io spero di farti qualche utile rimedio. Bisogna che io ti lasci ché la vedova esce di casa. Vattene e ritorna, che Dio ci aiuterà.
Cesare
Sta’ sana. O infelice la mia età!

Scena II

Laura, Taddea e Maddalena
Laura
Siché tu hai udito, cara cognata, quante ne fa questo vecchio! Ma io mi dispongo in ogni modo di giungerlo una volta sul fatto, se tu mi aiuti come m’hai promesso.
Taddea
E non son per mancarti. A Dio.
Maddalena
Molto non restate che è notte.
Taddea
Non mancherebbe altro a star senza licenza!6La licenza per andare in giro di notte. In molte città era d'obbligo ottenere una licenza per aggirarsi per le strade dopo una certa ora, per non essere scambiati per criminali o prostitute. Conforta Laura, ché quel vecchio la fa vivere discontenta. Va’ poi tu e maritati con questi simil uomini randagi!
Maddalena
A ogni modo l’è mala cosa a dar di naso a quante carogne sbarcano in questa città, purché una volta ei creda di non l’aver veduta; più e’ fa la pratica, e tre giorni innanzi bisognano a mettersi in ordine. Il tutto è che se ne vanta quando egli è allegro dopo cena la sera, ed è geloso sopramercato!
Taddea
Egli è mio fratello ma non gnene risparmio una: sempre gli dico villania, mostrando ch’egli ha mille torti. Ma tutti i pari suoi in quella età sanno di scemo bene bene!
Maddalena
Forse che Laura non vale un castello?
Taddea
Bene è vero! Or lasciamo andar questo caso e saltiamo in un altro. Dimmi cara sorella, mi poss’io fidar di te e senza farti più parole, scongiuri e preghi, poss’io realmente sfogarmi teco d’un mio segreto?
Maddalena
Io ho sempre udito dire che chi non vuole che un segreto si sappia, non lo dica; ma in questo caso tu lo dirai a te medesima. Ma se tu non lo puoi tenere, come lo riterrà un altro? Pure lo aver bisogno d’aiuto forse ti sforza. Se voi di soccorso a me possibile avete di mestieri,7'Avete necessità'. dite sicuramente; non accadendo opera che io possi fare in pro vostro, tenetelo nel core, perché molto meglio fia allogato in voi che in qual altra persona si voglia. Questo mi pare buon ricordo.
Taddea
Non posso far di manco e perché io so quanta sia la realità tua, senza più ciance ti dico che d’un bel forestieri inamorato di Laura io sono tanto invaghita che non so stare altrove che in questa casa perché, pochi giorni fallano, che non ci passi, e io ne ho contento e diletto grande.
Maddalena
Laura dà ella occhio a cotestui, forse?
Taddea
Apunto, neanche volge pur gli occhi, se per sorte la si abbatte alla gelosia, come colei la quale è di diaccio impastata. Io sono, come tu vedi, vedova, e apena viddi il marito e mi pare strano perdere la mia gioventù, e nessuno ci pensa.
Maddalena
E che effetto che vi giovi posso far io in questo caso?
Taddea
Dimmi prima se tu mi vuoi aiutare.
Maddalena
Con onor di casa e mio, farò ogni cosa.
Taddea
Non ne fia nulla!
Maddalena
Adunque ci ha d’andare l’onor di tutti? O questa è poca fatica ad accomodarsi, come la si dà per il mezzo, basta.
Taddea
Intendi, cara sorella, l’onore in quanto che ogni cosa sia coperta? Esso, tu e io, che saremo tre, lo sapremo, altri no.
Maddalena
Purché non sieno come dice il vulgo: chi va chi viene e chi sta. Ma fatemi questo conto più particolarmente.
Taddea
I modi ci sono assai purché una di casa mi sia fidata, e a te non mancherà stratagemmi, e a me che son punta dal foco amoroso, assotigliatore de’ cervelli grossi: con il nome di Laura lo inganneremo.
Maddalena
A condur bene le cose bisogna ottimamente pensare e meglio seguire. Ma ditemi, voletelo per marito?
Taddea
Se io potrò sì; quanto che no, per amante.
Maddalena
Io favellerò con voi in altra maniera, fuori del vostro discorrere. Conosco apertamente la vergogna di casa e la rovina vostra, se voi non vi mutate di fantasia. Voi dite che amore è buon maestro in questi casi, ma egli è peggio la cecità della mente che la grossezza del cervello. Laura non ha ella marito? Come cotestui si troverrà da voi ingannato, come andrà ella?
Taddea
Potrebbe essere che io lo rivolgessi al mio intento con le parole, con la pietà, con l’amore, con preghi e altre cose assai.
Maddalena
Una certa perdita è qui con un dubbioso acquisto. Gli uomini son duri di cuore, i più, e di lor fantasia: poco si curerà di voi. Io non ci veggo nulla di buon taglio. Pure il pensare qualch’ora sopra questo caso potrebbe far nascere qualche buon fungo. In questo mezzo consigliatevi con il vero, non vi lasciate ingannare all’ombra, e di me tutto promettetevi.
Taddea
Sia con Dio. Io andrò a casa inanzi che sia più buio. Vedete là non so chi che guarda.
Maddalena
Guardi quanto vuole.
Taddea
La prima occasione che mi venga di tornare di qua proverremo il possibile.
Maddalena
Cotesto si farà tosto, ma all’impossible pare a me che s’abbia da provedere! Andate via che si fa notte vi ricordo. Buona sera.
Taddea
Mi ti raccomando.

Scena III

Vincenzo e Caterina
Vincenzo
Dapoi che il mio padrone ricco mercatante (come si sa) mi tolse da piccolo, sempre mi ha tenuto in viaggi di nave. Almanco non mi avessi egli fatto avere già due anni sono tanto ozio che io non sarei così trafitto dalla passione continua d’amore! Lo andare per questa città con gli occhi fissi nel volto di questa e quell’altra giovane, senza pensiero alcuno...
Caterina
(Uh che uscio fastidioso)
Vincenzo
... mi ha condotto a tal termine, che io non ho un’ora di bene né riposo giorno e notte. O Laura del mio cor fermo pensiero!
Caterina
So che quell’uscio m’ha fatto dimenare un pezzo. Io credo che sia più di sei mesi che questo uscio di dietro non s’è tocco, e se non era il Bigio famiglio anch’all’otta, non ne facevo nulla, ma egli mi fastidì tanto una sera nel voler fare un suo servigio, acioché il vecchio non lo vedessi uscir fuori, non avrei messo mano a quella via. La porta è comune a tutti di qua dinanzi, e egli di là volle quella comodità per non esser visto, e così andai a contentarlo, ché nessun di casa se ne accorse. La padrona me lo ha fatto usare stasera un’altra volta e son tutta traffelata per la pena d’aprirlo. Egli s’era come non usato quasi apiccato l’uno sportello con l’altro. E così son fuori senza saputa del vecchio io vo a chiamar Taddea che venga a far non so che rinvoltura per il vecchio. La poteva pur dimorare un altro poco senza darmi questa stracca!
Vincenzo
Che cicala questa cornacchia? Egli è meglio ch’io m’accosti. O quella giovane, ricogliete il benduccio.8Fazzoletto (GDLi).
Caterina
Gran mercé. Ma state: e’ non è mio ché ci son danari!
Vincenzo
Tanto meglio per voi, né mio ancora: guardate bene.
Caterina
Io guardo: che moneta è questa? Non mi strignete la mano!
Vincenzo
Acciò non vi cadessi.
Caterina
Mai più ne ho veduti; e questa sì grande?
Vincenzo
Non posso io, poiché sono stato cagione che cotesti danari sien vostri, farvi carezze e madesì?
Caterina
Belle carezze! Voi avete quelle man sode! Andate a toccar la vostra inamorata!
Vincenzo
Chi è bella ha da essere ancora gentile, cara massaretta.
Caterina
Se io avessi i miei panni dal dì delle feste non mi dileggeresti!
Vincenzo
Io lo so: tu pari una contessa! Ma dimmi, che è della padrona tua bella?
Caterina
Ènne bene, perché?
Vincenzo
Vuogli tu dare questa lettera?
Caterina
Dio me ne liberi! Non porto polli11Portare polli: favorire una tresca amorosa (GDLI). e il vecchio n’ha troppa cura! Lasciatemi andare a fare una faccenda, perché l’importa or ora.
Vincenzo
Puossi ella sapere?
Caterina
Sì, ma non dite nulla a persona: vo a chiamare la cognata che venga a starsi seco, perché il vecchio va in frega dietro a una cortigiana alla stufa. La crede che non tornerà, però manda per costei per passare que’ fastidi e quella tristizia stanotte.
Vincenzo
Almanco togliessi ella me in quello scambio! Togli questa lettera e fa’ di raccomandarmi con essa molto, e piglia questo mozzanigo per caparra.
Caterina
Non vo di portante, no no! Sciagurata a me, e’ si lieva la luna! Ariverderci quel bel giovane.
Vincenzo
Ascolta! Tu non odi? Aspetta! Va’ in malora poiché tu sei cosi frettolosa. E’ si suol dire che i proverbi son veri, al primo colpo non casca l’albero: a tre fazzoletti costei è mia certo! E’ si dice ancora: fico basso e fantesca d’osteria, palpeggiando si matura. Quando un fico è basso, ogni uno che passa tasta s'egli è mezzo, tanto che in poche tastate, da tante spremiture, e’ gocciola. E così la fante di cucina: oggi viene un forestieri, e la pizzica da un lato, le palpa un fianco; domani ve ne capita un altro, e stringe un braccio; chi gli tocca la mano e chi gli mette le dita sotto il mento, onde in poche settimane ell’è cottoia. Costei poche spremiture, pare a me, la ridurrebbono. Ma sarà meglio che io vadia a far altro, ché Laura mia non sono io per vedere a quest’ora altrimenti. Ma ecco il vecchio: guarda chi gode tanto bene! Lasciami andar via, ché questo uccellaccio non mi vegga.

Scena IIII

Niccolò, Bigio e Stufaiuolo
Niccolò
Cenerai, Laura, e poi vanne a letto e aspettami.
Bigio
Fatto l'olio! So che l’avrà un bello aspettare.
Niccolò
Bigio? O Bigio? Tu non odi, tu non rispondi? Se’ tu sordo, Bigio?
Bigio
Io non sono altrimenti sordo, messer no! Ma dove avete voi trovato che si chiami uno che sia altrui sugli occhi? E’ si chiamano coloro che son discosto! Se voi vedete che io son qui, che accade gridar "Bigio Bigio"? Non sapete voi dire ciò che volete, senza farmi tanto rispondere "messere, messere!" cento volte?12La battuta è analoga a La Zucca, IVc 53 7, dove viene attribuita al servitore del Doni.
Niccolò
Deh vedi bestia! Sto io con esso teco? Sta pure a vedere che tu vorrai esser me e che io sia te!
Bigio
State pur voi a vedere, che se non dormirete in casa, che una notte voi sarete un altro, e un altro sarà voi.
Niccolò
In che modo?
Bigio
In modo d’archetti.13'A mo’ d’archetti': forma di risposta evasiva, quando non si vogliono dare notizie precise (GDLI) Per ora lascianla passare e ditemi quel ch'io ho da fare. Non udite voi mai i sospiri che volano per casa e i zufoli della via?
Niccolò
To’ questa chiave e serra ben quell’uscio: poi zufoli chi vuole!
Bigio
Ecco fatto, togliete.
Niccolò
Conficcasti tu tutte le finestre?
Bigio
Messer sì!
Niccolò
E quella del tetto?
Bigio
La fu la prima.
Niccolò
Quella della volta?
Bigio
Messer sì!
Niccolò
E quella del granaio, fu confitta?
Bigio
Messer sì: quella del pollaio, quella della dispensa, quella della stalla, della colombaia, della cucina, e quella del palco delle mele. Quando alla prima ho detto tutte, che accade tante tanie?14'Tanìe': litanìe, storie (GDLI).
Niccolò
Se io non avessi il bisogno che io ho di te, or ora ti ficcherei questo stocco ne’ fianchi! Guarda chi mi vuole insegnare! Che palandra hai tu su la spalla?
Bigio
Voglio adoperarla, se l’è ben vostra. La discrezione è madre degli asini: voi messere l’altre notte andate alle signore e io fo mula di medico:15'Fare mula di medico': attendere pazientemente i comodi altrui, perdere tempo in attesa di qualcuno (GDLI). egli è questa brezza che mi dà una mala notte.
Niccolò
Mettitela un poco in dosso e va’ là due passi: ah! Ah! Ah! Che cavar te la possino e becchini! Tu sei il bel pazzo! So che io sto fresco come una rosa, a famiglio balordo!
Bigio
Voi messere e io sian due: se tre altri ci volessino far correre io sono senza corsaletto e voi senza rotella.
Niccolò
O vedi bravo! Camina poltrone, e picchia allo stufaiuolo.
Bigio
Tic tac! O maestro? O-uh? O là? Il magnifico mio messer qua si vuol fare apiccare stasera due cornetti; aprite!
Niccolò
Che di’ tu ignorante! Non vo’ cavarmi sangue altrimenti!
Bigio
A casa nostra, per quel ch’i’ho veduto, la si farà stasera.
Niccolò
E’ bisogna servire. Voi sapete che un par mio non può così disagiarsi ogni sera: aprite e pagatevi.
Stufaiuolo
La stufa è fredda.
Niccolò
Scalderetela.
Stufaiuolo
Cosa difficile.
Niccolò
Tu m’hai fracido: non più novelle! Fa’ ch’io non m’adiri.
Stufaiuolo
Voi starete a disagio un pezzo.
Bigio
Che importa, purch’egli stia al caldo non gli dà noia, e io dormirò nello spogliatoio. O che gran sonno, apri, apri al padrone!
Stufaiuolo
A’ padroni non si può dir di no: venite dentro.
Bigio
Dice ben l’avverbio17'Tanìe': litanìe, storie (GDLI). che a cuocer bene un uovo fresco, fare il letto a un cane, insegnare a un fiorentino e servire a uno inamorato son le più difficil cose che si faccino! Dio voglia che questo stufaiuolo stasera contenti questo mio messere, il quale è più fastidioso che la vecchiaia, e se non me lo credete, dimandatene la nostra fante colà: o se la vedeva, in malora era!
Niccolò
Bigio, vien dentro, matto spacciato!
Bigio
Che vi dissi? O che fantastico! Io vo dentro.

Scena V

Caterina e Taddea
Taddea
Se ben si va di notte, egli è per carnesciale in terra libera.
Caterina
L’uscio è diacciato: il vecchio ha preso il volo. Andiamo pure di qua per l’uscio dove sono io uscita.
Taddea
A che fine hai tu aperto costà di dietro?
Caterina
Bisogna accomodarsi a’ tempi, cara madonna! Il vecchio vuole aprire e serrare la porta dinanzi come gli piace: che volete che noi stiamo in prigione? La sarebbe bella!
Taddea
E se tornasse e mi ritrovassi in casa, che diremo? E’ si penserà a qualche male.
Caterina
Mancheranno le scuse.
Taddea
Cento volte sono stata in questa casa e mai usai questa porta falsa.
Caterina
Ell’è una comodità non conosciuta: a me ha ella giovato più volte.
Taddea
Orsù, entriamo con buona ventura.
Caterina
Madonna sì, che un dì la ci potrebbe venire la buona ventura. Che peccato che voi perdiate tanto tempo: so che la Caterina non istarebbe tanto a denti secchi!

Fine del primo Atto

ATTO SECONDO

Scena Prima

VINCENZO solo
La sciocca opinione del vulgo un tempo mi ha tenuto un pensiero nella mente: che Cupido sia Dio che abruci, saetti e infiammi i cuori di noi miseri amanti. O sciocca plebe accecata dalla ignoranza! Per dirlo in una parola, io credo che amore sia un male naturale che ciascuno ha nell’ossa, una certa spezie sottile di doglia, mescolata con un pensiero dilettevole, che per malattia non si stima. Appicasi questa bestiale infirmità per più vie e pigliasi da ciascuno e di tutti i tempi. Non è, per dire il vero, male che paragoni questo, perché è naturale e non viene da umori. Egli è un sottilissimo fuoco che talvolta nella parola si porta, perché nel raccontare le bellezze d’una donna, ancora che la sia di lontano, tu te ne guasti. Dio ne guardi ciascuno! Che cosa non ha fatto l’uomo infuriato da questa febbre? E la donna! Distrutto città, paesi, e regni; amazzato amici, strangolato rivali, tagliato a pezzi parenti e lor medesimi impiccati. Per amore am? Lieva la gamba!18'lieva la gamba': Dio ce ne liberi (GDLI) La madre non si cura del figliuolo, la moglie non pensa al marito, né il marito alla moglie. Io concludo che amore è un male senza rimedio, e io lo provo. Non so se mi par di vederein calze e farsetto fuor della stufa il galante della mia Laura vita mia: che bel fante! Vo’ seguirlo di traccia: forse che Amore mosso a pietà de’ miei tormenti darà mano a sollevarmi di tanto dolore; intanto starò qui nascosto.

Scena II

Niccolò, Bigio, Stufaiuolo e Vincenzo
Niccolò
E’ non è la più dura cosa che lo aspettare con disagio, massimamente quando v’interviene amorazzi e, quello che importa più, la conclusione.
Bigio
Alla magnificenza vostra non doverrebbe dar molta noia un’ora di più; a ogni modo, quanto più state, meglio è per voi perché la notte vi parrà più corta.
Niccolò
Tu entri sempre in qualche cetera che non ti tocca! Io debbo lavorare forse a giornate, bestia?
Stufaiuolo
La Signoria Vostra potrà andare e cominciare a spogliarsi, ché io sarò in ordine in un tratto, se avete da sdilacciare un pezzo.
Niccolò
Diascol’è! In un tratto son bello e ignudo: non ho brachieri19Brachiere: sospensorio, fascia di cuoio per sostenere l'ernia intestinale o inguinale (GDLI). e non sono, come io ti paio al pelo, vecchio! Bigio, ricordati, come io mi stufo di guardar bene la cassa de’ panni.
Bigio
Io mi vi adormenterò sopra: andate pur senza pensiero a pulirvi.
Vincenzo
Che sì che la sorte mi vorrà aiutare improvisamente e farmi quello che mille discorsi non mi hanno fatto? Lasciami pensare un poco... quattro passeggiate... Io ho trovato l’inchiodatura!20Trovare l'inchiodatura: trovare il modo giusto per fare qualcosa (GDLI) O là? O là padron Gottardo? Stufaiuolo? O là?
Stufaiuolo
Che vi piace signore?
Vincenzo
Potrei io stasera a mio comodo lavarmi?
Stufaiuolo
Io ho uno che mi pare gentiluomo che apunto vuol ire nella stufa: quando lo avrò servito, non posso mancare. E servirei la Signoria Vostra inanzi, ma ho da fare con vecchi; e anco se vi pare state così un poco e alla sprovista venire dentro. Io sarò intorno al magnifico e con qualche trattenimento, dando un colpo sul cerchio e uno su la botte, laverò similmente la Signoria Vostra.
Vincenzo
Ordina al tuo garzone che non lasci venire altri che me stasera, perché voglio esser solo; piglia questi marcelli per parte, e servimi.
Stufaiuolo
Padrone, gran mercé! Io vi ringrazio per mille volte; o voi siate magnifico! Io son chiamato, verrete a posta vostra.
Vincenzo
Ho pensato il più nuovo trovato del mondo, purché la mi riesca (o sorte questa volta e poi non più!). Io credo che in questa città che è tanto popolata per varie nazioni, egli ci accaggia di belle novelle. Io ne so quelle quattro: chi ha da spendere gli capitano mille bei partiti per le mani; pure ci sono ancora di dure nespole da maturare e Laura mia è asprissima. E’ non ci è stato mai pollastriera21Mezzana, ruffiana (GDLI). sì suffiziente che gli sia bastato l’animo d’affrontare quel torrione; tutte dicono che la rocca è inespugnabile, anzi più che lo assedio non la farebbe arrendere. Pure le son certe cose che Dio sa come l’andasse: a quelle strette ci sono di mai passi. Il letto, il buio, la comodità, i danari, la fede del segreto fanno gran violenza. Sarà meglio che io me ne vadia dentro, inanzi che coloro mi si apressino più e a un bisogno si volessino stufare ancora loro; e andrò vedendo se ’l mio pensiero debbe avere effetto e trar sul libro dell’occasione all’improvista, con i dadi falsi dello inganno e chiarirmi se a Vinegia ne posso anch’io far una o savia o pazza che la mi riesca. Con questa passione non ci è ordine a vivere altrimenti!

Scena III

Cesare, un Corriere e Druda
Corriere
Chi ha pazienza nelle tribolazioni il più delle volte viene aiutato: Suo Maestà rimette la Signoria Vostra e con i vostri signori della città giustificato benissimo.
Cesare
La mia innocenza m’ha fatto favore! Iddio non abandona mai chi spera nella sua bontà. Questa è la mia abitazione stata; così sconosciuto a canto a questa stufa. Qua è la porta principale, la padrona si chiama Druda. Venite domattina per le lettere e se volete potete star meco quanto voi qui starete. Questa è la mancia della buona nuova: godi questi venticinque scudi.
Corriere
Baciovi la cortese mano.
Cesare
Va’ alle faccende. O quanto è fallace il mondo, o quanto è ben contrapesato ogni cosa! Stolto è colui che delle sue promesse si fida! Non è sì tosto distrutto in bocca il zucchero, che l’apetito ti fa venire un amaro desiderio di qualche altra cosa. La nuova del ritornare alla patria è dolcissima, ma il lasciar Laura è un fiele crudelissimo. O sorte crudele!
Druda
Signor Cesare, che fate voi di fuori al freddo? Voi siate, vi ricordo, di qualche tempo, e meglio staresti in casa.
Cesare
Travagliava la mia mente. Ecco le lettere della mia innocenza, ché il ritorno della patria liberamente m’è concesso.
Druda
O quanti falsi concetti si fanno molti principi e signori nella mente! Cose da non se ne maravigliare molto, poiché tante esperienze di giorno in giorno se ne son vedute. Le cose degli stati son molto tenere, e si vede tal mosca che pare uno elefante e un castello in aria.
Cesare
E principi son netti, e i signori che dominano sinceri di cuore, ma molti uomini son ben pessimi, i quali bene spesso comodamente hanno le loro orecchie dove scolpiscono la malizia. Beato a quella città e a quel signore che ha ministri giusti, e male per quelle dove regnano i viziosi. Quanti cittadini di mala mente che governano, aspettano l’occasione da poter profondare un altro cittadino o dargli una ferita su l’onore, e su la roba un graffio; e se bene è torto, fatto ch’egli è bisogna che sia diritto; né di questi casi bestiali o accidenti del mondo se ne può assegnare le ragioni, perché la verità sta di sopra. Ma lasciamo questa tragedia, ditemi: dove andate voi sì bella?
Druda
Faceva pensiero di montare in barca e due ore passare il tempo attorno; a ogni modo, tra le pelli e le comodità della gondola, non sentirò freddo, e non ad altro fine se non per ischivare un fastidioso vecchio, il quale molti dì sono mi tormenta, e io, come sapete, sono diventata un’altra donna.
Cesare
È egli nobile?
Druda
Dicono che è de’ primi della contrada de’ Niccolotti22I Niccolotti erano una delle due fazioni in cui si divideva il ceto popolare di Venezia. e grand’avvocato di palazzo.
Cesare
Io non ho molta pratica di sì fatte cose.
Druda
Io ho qui una lettera, e per importunità ho detto al mandato suo di compiacergli, come importuno, per tormelo dinanzi, ma sarà no. Leggetela e riderete: eccovela " Al cristallino specchietto della mia effigie tutto indorato, la marchesana Druda di Tedescheria e del mio stomaco magnifico zucchero rosato, ecc.
Reverendissima risplendente luna, come sapete, più volte la Signoria Vostra che la mia magnificenza ha discorso in materia del mio amore, e concluso sopra le prove fatte a diverse signore venute di nuovo nella nostra città, Domina dominantio, i favori che io posso per tutte le spezierie e pescatori, peroché vale assai un pari mio, però procuro agli Officii delle Pompe,23Il magistrato alle Pompe si occupava di sovraintendere al rispetto delle leggi suntuarie. e disputo a’ Signori di Notte.24I Signori di Notte erano la principale magistratura criminale delle Venezia dogale. Devono il loro nome al fatto che inizialmente la loro giurisdizione si limitava a crimini commessi di notte; col tempo li reati di loro competenza si allargarono molto, il che contribuì all'assunzione dei Signori di Notte a un ruolo centrale nella magistratura veneziana. Ideo desidero essequire stasera da le quattro alle tre ore in là tanto mio amore strenuo. Cedino le vostre tappezzate bellezze e invitte alla servitù del vostro colombo, schiavo e impaniato, baciandovi la zecchina mano con questo San Marco d’oro.
Il vostro Niccoletto, il più rovente amante di Vostra Signoria che scaldassi il letto senza scaldaletto.. "
Cesare
Poiché giuoca di scudi se gli può dar del magnifico. Lo pigliasti, forse?
Druda
Lo rimandai indietro per il famiglio.
Cesare
Purché non se lo abbia dicendo averlo dato ritenuto.
Druda
Questo sarebbe peggio!
Cesare
Gran fatto, credete che non ci sieno mille sì fatti mariuoli? Se non fussino i buoni ordini questa terra, che è un paradiso, parrebbe uno inferno! Quante buone leggi ci sono e comodità rare, am signora? Non è città al mondo che la passi di dignità. Non è questa una cosa bella che un principe, un prelato un pari mio viva qua libero e signore di sé e del suo, che in altro luogo di raro si trova questo? La Signoria Vostra si riduca a casa, perché se voi non vorrete dargli fatti daretegli parole; e non beffate mai nessuno.
Druda
Poiché ho la compagnia vostra da ragionare, penseremo qualche rimedio per questa faccenda.
Cesare
Entrate in casa ch’io sento aprir la porta della stufa.

Scena IV

Vincenzo solo
Ah! Ah! Ah! Tutti i famigli alla conclusione son famigli, né hanno più cervello che gli bisogni! I danari e le ciance hanno fatto che il Bigio del magnifico e il Zucca dello stufaiuolo si sieno trafugati per quelle corti e magazzini, e sapete eglino hanno inzuccato bene e non male.25'Inzuccare': bere vino oltre misura (GDLI). Ora se voi volete vedere due poltroni dormire sbracatamente, entrate qua dentro: come tassi son per domani ripostisi! S’io posso finire la tela che io ho ordita, spero di far ridere tutta la vicinanza o metterla tutta sottosopra. Io vo dentro a pigliare un’altra sorte di vestimenti; non ve ne ridete poi quando mi vedrete in zazzera: amore n’è cagione di farci pazzi tenere! Orsù, chi ha tempo faccia, perché l’aspettare poi tempo si perde l’occasione, cosa molto difficile poi a ritrovare.

Fine del second’Atto

LO STUFAIUOLO COMMEDIA DEL DONI

ATTO TERZO

Scena Prima

Maddalena e Cesare
Maddalena
Egli è desso! Apunto venivo signor mio per trovarti.
Cesare
Con buone nuove?
Maddalena
Né nuove né vecchie, né cattive né buone, ma per dirti che noi siamo tutte disperate in casa. La Taddea vedova (vedova tenuta all’usanza della terra) ma il marito datogli la mano andò in Aleppe,26Venezia aveva aperto un proprio consolato ad Aleppo (Siria), in territorio Ottomano nel 1548, che è probabilmente il periodo in cui la commedia fu scritta (cf. Introduzione); non è escluso quindi che questo possa essere un allusione all'evento. e nel ritorno la fortuna ruppe la nave e tutti perirono; e’ si tiene che la sia come l’usci del guscio. E perché il tempo vola, la s’è scoperta con tutti d’essere inamorata d’un galante di Laura che la muore, e non ha né giorno né notte un’ora di riposo. Laura di costei se ne ride da un canto, dall’altro piange per sé d’essere afogata in un bicchier d’acqua con quel vecchio il quale, oltre che le fa cattiva diacitura, ogni settimana e’ va a vettura da questa e da quell’altra femina. Ma noi lo vogliamo còrre stanotte dalla stufaiuola tua padrona, dove sappiamo ch’egli va.
Cesare
Certo egli è quello che poco fa la me ne ragionava; or sia in buon ora. Sai tu ch’io venivo per ritrovarti con una buona, anzi, ottima nuova?
Maddalena
E quale?
Cesare
Ecco la patente del nostro ritorno alla patria, con le possessioni libere e ogni nostro avere!
Maddalena
O Signore, ringraziato sia tu sempre! Io ho del continuo sperato nella sua bontà; e ho fede di ritrovare un giorno almeno uno de’ nostri figliuoli.
Cesare
Ehimè dolente! Già me gli sono scordati!
Maddalena
Non già io, e ho a mente la voglia di vino che ha la Fiammetta sul braccio e i nei grossi della spalla.
Cesare
E i nei grossi di lei son di ricordo; ma più di Gianni Batino quei cinque ceci sotto la poppa manca e un rosso dall’altra. Le son cose impossibili da ritrovare... Guarda piutosto di farmi consolato in questa nostra partita.
Maddalena
La ventura ti vien dietro. Fra poco la condurrò dalla Druda che in cambio suo la corichi con il vecchio: vedi che lei vi metta te inanzi, e contentati. Io la lascerò nel tuo diminio.
Cesare
O felice a me se tu fai cotesto! Sarà ella poi così che tu la meni in casa?
Maddalena
Sta’ di buona voglia, che io ho fede che la ti verrà in braccio ancora volentieri. Ti contenti tu?
Cesare
Oimè!
Maddalena
Or vedi s’io ti sono una dabben moglie!
Cesare
Non posso per l’allegrezza rispondere.
Maddalena
Io vo dunque a condurla, risponderami poi, e poi con doppia allegrezza del nostro ritorno faremo festa.
Cesare
Due fatiche ha l’uomo in questo mondo che non si considerano e pur son grandi, una si vede e l’altra no. La prima è mantenersi, l’altra il sostentare la sua pazzia.27Lo stesso adagio si ritrova in La Zucca, IVb 49 47. Non bastavano i travagli del mondo, i quali da una parte mi danno affanno, che dall’altra la pazzia d’amore non mi sia a cuore. E’ si suol dire che nelle cose averse il ricco si sa prosperare, ma in questi mia passati e presenti travagli non mi hanno ancora saputo far questo servizio, in modo che l’uomo ha più da ringraziare Dio d’esserci nato savio che ricco,28Anche questo proverbio si ritrova in La Zucca, IVb 43 32. ché se così fosse stato (a dirla alla reale) io non sarei in questi laberinti. Se io mi sviluppo ora, mai più mi aggiro per sì fatte strade! Lasciami andare a casa a condurre il resto della mia pazzia a fine. Purché qualcuno non m’abbia udito a dir le mie stoltizie! O gran servitù di questa stufa, sempre entran e escono brigate.

Scena II

Laura, Madalena, Druda e Vincenzo
Vincenzo
Ah! Ah! So che io rido stanotte! Dal viso in fuori non paio io il magnifico? In cambio di stufarmi vo’ vedere di coricarmi in un letto. Come bene ho fatto il furto di questi panni di sotto a quel gaglioffo! E’ dorme sì sodo che non lo desterebbono le bombarde! Il vecchio v’è per due ore: egli si sta al caldo del quale se ne rifà, ed è entrato in un cicaleccio de’ suoi amori lungo lungo. Lo stufaiuolo dice "madesì" e tira il cordovano,29'Tirare il cordovano': burlare, prendere in giro (per una spiegazione approfondita dell'origine dell'espressione cf. La Zucca, IIIc 7 10). e a un bisogno m’aspetta, e io me ne vo in qua, pure che io torni a tempo da rimettere i panni al luogo suo. Ecco la chiave, ecco il lanternino da ladri per vedere tutta la casa. Sta’: io odo brigate! Tosto dentro, non mi fare stentare o chiave di grazia! Chi non s’arristia non guadagna! La vacca è nostra: dentro Vincenzo!
Laura
La fante s’è adormentata al fuoco e la Taddea debbe essere sul buono del primo sonno.
Maddalena
Bella cosa questa città libera! Guarda che nessuno ci dia fastidio, ma così vestite da uomo paiamo signori.
Laura
Insegnatemi come debbo chiamar la cortigiana.
Maddalena
Lascia pur dire a me.
Laura
Andate dunque voi innanzi, che sapete l’uscio.
Maddalena
Tic, toc, tac!
Druda
Chi è là?
Maddalena
Son due forestieri che cercano camere locande.
Druda
Adesso vengo alle Signorie Vostre.
Maddalena
Farai con quell’altro amico la mostra di ciò ch’io ti ho insegnato e non uscire, come io ti ho detto, del segno punto, per punto.
Druda
Venite dentro ch’io sento brigate: o che maledetta stufa!

Scena III

Caterina e Bigio
Caterina
La vesta del messere è su la tavola, la suo camera è serrata di dentro, cosa che mai si usò. Io sono stata a sorrecchiare30Orecchiare, origliare. all’uscio e m’è paruto di sentire dimenare la lettiera. Del resto la casa è netta come un bacino da barbiere. Dio sa dove son l’altre donne: va’ rinvergale tu per questa terrra! Anch’io voglio andare a cercare il Bigio: ma eccolo che ne vien piangendo! O ve’ fantoccio vestito! Deh vedi bel bambino che piagne!
Bigio
Io son rovinato, oimè! Sciagurato a me! Va’, portami Caterina un coltello ch’io mi voglio sgozzare!
Caterina
Che cosa è stata?
Bigio
O Dio! La vesta del messere, la vesta, um! Um! La chiave, la chiave del messere, la lanterna!
Caterina
Che vesta pazzerello? L’è su la tavola e messere fa un gran tentennare stanotte di lettiera. L’uscio non lo vedi aperto? Tu se’ ’briaco!
Bigio
Sogn’io o dormo? Come ha fatto il messere a volar nel letto a casa senza me? E’ mi par che sia in istufa ancora! E panni mi sono stati rubati da uno che gli ha scambiati con i suoi.
Caterina
Chi è adunque nel letto?
Bigio
Dillo tu che sei stata in casa!
Caterina
Io ho dormito in cucina al fuoco.
Bigio.
E io ho sonniferato un poco su la cassa de’ panni.
Caterina
E d’un bel sonniferare, poiché messere o altri ti ha tolto la vesta di sotto e non l’hai né veduto né sentito!
Bigio
Io gnene dovetti dare inanzi ch’io dormissi!
Caterina
Ah! Ah! È il padrone nella stufa da dovero?
Bigio
Credo di sì, lasciami veder prima la vesta, e poi ti dirò se egli vi è, o sì o no.
Caterina
Sai tu ciò ch’io voglio che noi facciamo?
Bigio
Che?
Caterina
Mentre che le donne son fuori, insino che le tornano andiancene a letto. Vedi che van gente là attorno carnescialando: e ancor noi!
Bigio
Lasciami veder la vesta e poi farò ciò·cche tu vuoi.
Caterina
Sì anima mia, va’ là.

Scena IV

Druda e Maddalena
Maddalena
O che allegrezza!
Druda
La compassione del povero gentiluomo mi ha fatto comportare un sì fatto inganno di mettere uno scambio.
Maddalena
Ah! Ah! Ah!
Druda
Voi ridete? Se mi fosse stato marito come è a voi, non lo comportava mai: morto a suo posta!
Maddalena
Ho ben fatto uno incanto; basta basta!
Druda
Incanti mi piacque. Voi avete un buono stomaco! Come andrà ella?
Maddalena
Benissimo, e lo vedrete tosto.
Druda
Or via, andatevene a casa e io andrò a trattenere il vecchio, e di tutto lo scompiglio lascio il carico a voi.
Maddalena
Sì sì! Che vuol dire quest’uscio aperto? Che sarà mai? Il vecchio è pur nella trappola! Dio voglia che quel famiglio porco e la nostra scrofa non abbian fatto qualche maledizione. Sempre ci nasce qualche matassa da sviluppare. Intanto io entrerrò di qui e serrerò tutti gli usci: chi vorrà venir poi in casa, mi farà motto.

FINE DEL III ATTO

ATTO QUARTO

Scena Prima

Vincenzo e Maddalena
Maddalena
Tutte le disgrazie quando le cominciano sogliono venire a un’otta, e le grazie a una a una, ma questa volta le felicità mi son venute tutte a un tratto! Favello delle cose del mondo.
Vincenzo
Chi direbbe mai che la sorte m’avesse fatto tanto favore! E in che modo! Son ito in una stufa a diventar ladro e truffatore, e in una patria lontana dalla mia tante centinaia di miglia, a ristio di capitar male; travestitomi, aperto l’altrui case e violato gli altrui letti: le son pur cose che a pena si credono!
Maddalena
E io ci venni e mi posi come per ischiava in nuove contrade e fra gente in altra maniera nutrite; e alla fine mi son condotta a condurre la povera figliuola a cercare i difetti del marito. Ma questi discorsi non sono per ora d’allungargli più. Io andrò da Laura; della Taddea ne lascerò a te la cura, come io torno si terminerà il tutto. Or va’ di sopra.

Scena II

Maddalena e Druda
Druda
V’aspettavo al passo, vedendovi in qua venire.
Maddalena
Come la fa Laura?
Druda
Ah! Ah! So che il signore ha avuto il mele e le mosche.
Maddalena
Ècci nulla di rotto?
Druda
Nulla insino a ora.
Maddalena
Si debbe esser contentato a modo suo questa volta.
Druda
Il vostro incanto credo che sia giovato, anzi stato da dovero; e non so dirvi altro se non che la gli disse non so che pian piano, poi volle il lume e mostrogli le braccia, le spalle e ’l petto, tanto ch’egli entrò in un pianto dirotto che mai ha fatto altro che lagrimare. Non piangete ancor voi, ché non ha fatto nulla!
Maddalena
Piango d’allegrezza.
Druda
Io resto stupida anch’io; e egli credo che sia matto di Laura.
Maddalena
O che nuovo accidente! Andiamo dentro e lo intenderete. Laura poi s’ha da riempire d’un nuovo diletto, e voi e tutti! Or ditemi, che fu di messer vecchio?
Druda
Lo stufaiuolo gli mostrò la scala segreta che viene in casa, ed egli picchiò un pezzo, bravò e pregò, ma nulla gli valse né fu di giovamento, perché io aveva pontato i piedi al muro di non ce lo volere. Credo che si gettassi per il sonno sul letto (dopo la colezione) dello stufaiuolo a dormire. Ma udite che grida acorruomo: entriancene in casa.

Scena III

Niccolò e Stufaiuolo
Niccolò
Ribaldi, mariuoli, asassini, traditori! A questo modo am? Poltrona tedesca gaglioffa! A Signori di Notte! Criminali, truffatori, cani! A un gentiluomo Niccolotto de’ primi de’ primi! Io ho più di dumila ducati d’entrata e gli vo’ spender tutti per ritrovare il Bigio che voi m’avete amazzato! Stradaiuolo e non istufaiuolo! Lascia che io mi vadi a rivestire, vedrai se io ti gastigherò! Vinegia non è miga32La sonorizzazione della velare intervocalica (miga per mica) è tratto tipico del veneziano, e una delle poche caratterizzazioni linguistiche dei personaggi in senso settentrionale. il Bosco di Baccano!33Il Bosco di Baccano (oggi Valle di Baccano) è un'area boscosa situata a est del lago di Bracciano, attraversato dalla via Cassia e famoso dal Medioevo in poi per essere infestata dai ladri.
Stufaiuolo
Messer magnifico, se voi sete gentiluomo, io sono uomo da bene. E che sia il vero, ecco che il vostro famiglio nel truffarmi e panni e fuggirsi, gli è caduto la vostra borsa: vedetela qua, togliete!
Niccolò
Tu menti per la gola ché la borsa l’ho qua e sempre l’ho tenuta nelle mutande! O poveretto Bigio, che strana morte debbi tu aver fatta! Almanco avessi tu potuto far testamento de’ danari che io ti ho dati in venticinque anni che tu stai meco!
Stufaiuolo
Questa borsa farà in giudizio testimonianza della mia innocenza.
Niccolò
Va’ pure alla malora, ribaldo!
Stufaiuolo
Io non so tante cose: la mia cassa v’ha renduto un saio di velluto, una berretta con una medaglia d’oro, un pennacchio di trinca34Nuovo di trinca, mai indossato. per una vesta così così, senza il tabarro che val due veste!
Niccolò
Tu vuoi cento stoccate, nevero?
Stufaiuolo
Io serro l’uscio: stoccate e fate e dite quanto vi piace!
Niccolò
Da dovero ch’io paio uno sbricco: di questa tresca me ne verrà guadagnato! Ma all’andare in casa sta il punto. Oimè la sarcinesca è aperta, la mi sarà stata sforacchiata con qualch’altra chiave! Tic, tac! Io posso picchiare e’ saranno morti. Toc, tac! Questa sarebbe bella: truffato, rubato, asassinato e fuor di casa! Ou? Ou? Tic, tic, toc, tac! Laura, Caterina, Maddalena? Saranno sotterrati tutti nel sonno! Sarà meglio ch’io vadi per un magnano e faccimi aprire, altrimenti io non ci veggo grascia altro che far mula di medico. De’ cattivi partiti bisogna pigliare il migliore; vedi a quello che è condotta la mia magnificenza! Voglio tastare innanzi ch’io vadia se l’uscio di qua fossi aperto per disgrazia e poi andrò via. E’ par confitto, sì sta forte!

Scena IV

Bigio e Caterina
Bigio
Chi domine era quello che voleva rovinare la porta, Caterina?
Caterina
Va’ indovinalo tu! Che sì che noi ’reditiamo questa casa! La camera è chiusa e la vesta di messere si sta su la tavola con la berretta. Vogliamo noi andare su qualche ballo in maschera? Tu vedi noi siam padroni ché ogni uno è perduto.
Bigio
Come ci travestiremo?
Caterina
Con la vesta di messere io, e tu con la tua o con la mia.
Bigio
Va’ per esse e andiamo. Io sto a pensare quello che si farà di sì gran casa. La voglio affittar mezza almanco per i camangiari.35'Companatico' (GDLi)
Caterina
Piglia, vestiti e daremo una giravolta su’ balli.
Bigio
E poi alla stufa a veder come egli è morto bene. Coteste maschere?
Caterina
L’ho tolte di camera di madonna Lena. Dimmi Bigio, sarà meglio che noi ci amogliamo insieme.
Bigio
Senza dote non farò io cotesta pazzia!
Caterina
Non ho io a Poppi un forno con un boschetto atorno attorno?
Bigio
Tu hai una rendita d’un podere?
Caterina
Con un pezzo d’orto (o che terreno grasso!), con nespole e fichi lardegli tanto lunghi. E se io ci avessi tenuto sempre un ortolano di buon nerbo, farebbe tanta rendita ora che te ne staresti agiato largamente; ma egli è bisognato che io ci abbi messo a chi io mi sono abbattuta, in modo che la maggior parte del tempo e’ si sta sodo.
Bigio
Se così è, ti torrò e metterovvi di bei nesti.
Caterina
Se tu provederai qualche marza rigogliosa, la si appiccherà bene.
Bigio
Va’ che io son contento di far ciò che tu vuoi. Volta, volta di qua: non vedi tu quanta gente? Che non sia il Bargello?
Caterina
Anzi no, che son gentiluomini: aspettiangli piutosto, che possian noi perdere? E andremo di brigata! Ma mettianci le maschere.

Scena V

Laura, Cesare, Druda, Madalena, Caterina e Bigio
Druda
Si lamentano poi i padri quando noialtre donne facciamo figlioli con qualche segno: le voglie sono state pur ora buone!
Cesare
Dal viso in fuori, non mi son mai dispiaciuti i segni.
Maddalena
Quanto sono io stata in casa inanzi che acorta me ne sia! Nel governarla nel letto amalata la riconobbi a quella voglia maggiore, e me ne certificai con il restante. Fu ancor grande il raccontare della presa.
Laura
Che io vi seppi ogni cosa dire.
Maddalena
Sì certo, ed eri pur piccina.
Druda
E io che me ne andava presa alle grida quando la menavi qua come alla beccheria! Voi sete una prudente donna; e voi, messer Cesare, come la vi ha beffato bene!
Cesare
All’amore che io portava a costei mi pareva gran cosa che non ci fosse un sopranaturale legamento!
Laura
Voi non vedete là messer Niccolò? Per la mia fede, ch’egli ha seco una femina e ci ha veduto.
Maddalena
La vesta era in casa, come è possibile che sia desso?
Druda
E pur è, e in maschera!
Laura
La mal trovata sarò io!
Cesare
Ogni cosa si acconcerà: lasciate dire a me che io comincerò con le brusche, e poi verremo alle dolci parole, all’amicizie e parentadi. Doh vecchio senza pensieri, è questa ora da un pari vostro a ritrovarsi in maschera?
Druda
Bella gentilezza volere sforzare la mia porta!
Cesare
State forti, voi volete fuggire! Tien costei, o Druda!
Laura
Poverina a me! Si vede bene ch’io non ho nessuno in questi paesi!
Maddalena
Vedete come questo vecchio sta intirizzato!
Druda
Sentite come questa vacchetta sotto la maschera ride!
Cesare
Cavatevi coteste maschere, mostrateci il viso!
Maddalena
Le mi paiono le nostre di casa.
Bigio
Ah! Ah! Ah! Io v’ho pur fatto tutti ridere! Ah! Ah! Ah!
Maddalena
Che cascar ti possi egli mezzo il naso! Vedi quest’altra pazzerella! Dove sian noi stanotte, guardate come ci trattano i famigli!
Cesare
Non più risa, di grazia, lasciategli andare a spasso e quando torna lor bene, se ne venghino a casa.
Laura
Che volete di nuovo far qualche commedia? Rimeniamo costei a casa e quell’altro cerchi di messere.
Bigio
Dove volete ch’io lo ritrovi, se fosse morto?
Maddalena
Sì sì, egli è morto e noi tutti andiamo a Padova. Date qua le mie maschere, andate alla stufa. Abbian forse da tener conto noi di sì fatta generazione, quanto peggio fanno meglio è. A questo modo messere s’accorgerà con che gente egli ha da fare. Andate a spasso, andate!
Caterina
Se dicono che noi andiamo, che stai tu a vedere? Loro se ne debbono fuggire a Padova così ben vestiti, poiché messere è morto. Povero vecchio, quando mi baciava di nascosto in cucina e’ diceva: "Non dir nulla a madonna, vedi!" Oibò, gli putiva la bocca Spu! Spu! Bavoso!
Bigio
Andiancene a chiarire alla stufa se egli è o sì o no morto, e poi venderemo la casa, ché non ci è la più stretta parente di te, se ti baciava.
Caterina
Madesì, va’ là.
Maddalena
Gli hanno lasciato aperto: va’, tien servidori (come ho detto) sì fatti! Fidatevi brigata di sì fatta razza: che spegner se ne possa la semenza!
Cesare
Io tornerò a casa a rivestirmi da pari mio, e ritornerò all’allegrezze; e la Druda dello stufaiuolo anch’ella si farà da bene.
Maddalena
A ogni modo lo sposo debbe con ragione dormire.
Druda
Buona notte per un pezzo!
Laura
Buona notte e buon anno. Tornate tosto caro padre!

FINE DEL QUARTO ATTO

ATTO QUINTO

SCENA PRIMA

Niccolò, Magnano e Maddalena
Niccolò
So che voi dormite sodo! Io ho avuto a rovellarmi intorno a quel vostro sportello di bottega, e hai penato poi un’ora a venire!
Magnano
I pari nostri lavorano il dì, e la notte a questa ora siamo come ’briachi nel sonno; e forse l’uno e l’altro.
Niccolò
Non più parole: eccoci qua sul fatto. Guarda che nel girare con il grimandello per quella saracinesca tu non mi rovinassi qualche cosa.
Magnano
La vostra magnificenza non dubiti: io sono uso a tastare altre serrature che la vostra. Io ho rimesso tali rimbrencioli di toppa insieme, che per volerla aprire con chiavi grosse che non vi affacevano erano tutte strambellate: una brutta cosa da vedere.
Niccolò
In effetto con destrezza si fanno le cose bene.
Magnano
Chi l’ha aperta?
Niccolò
Che vuoi tu ch’io ne sappia, perché?
Magnano
Perché non avete sì gagliardo braccio da sfondarla!
Niccolò
Il famiglio aveva la chiave e la serrò ier sera.
Magnano
Niccolò
Io son da casa Becco. Or vedi quel che tu vai cercando.
Magnano
Per saper se voi siate gentiluomo, e se l’è vostra questa casa, la quale mi pare ch’abbi più bisogno di sconficcare che del grimandello, altrimenti voi starete di fuori.
Niccolò
Ben sai che l’è mia, però sconficca, sconficca! Non mi far più stentare.
Magnano
Tof! Tof! Taf! Tic! Tuf! Toc! Tac! Touf! Se la non è vostra non mi fate andare sopra un paio di forche.
Niccolò
E lavora inviatamente!
Maddalena
Chi rompe la mia porta? Via al ladro, al ladro con i grimandegli!
Magnano
Cacasangue! Dissi ben io "Ser bestia" e non gentiluomo!
Niccolò
Tu fuggi magnano? Sta’ forte! Torna! Va’ tienlo tu! Il padrone son io. Io sono il messere, in malora!
Maddalena
Egli è alla stufa e non veste alla forestiera: tu mi pari un soldato! Correte, correte vicini! Al ladro al ladro!
Niccolò
Sta’ cheta arrabbiata!
Maddalena
Al ladro de’ grimandegli! Al ladro!
Niccolò
Dio m’aiuti, sarà ben fuggirsi e incantonarsi; se io son veduto così rimango svergognato. Diavol che non ci passi qualche mio conoscente.

Scena II

Caterina, Bigio e Stufaiuolo
Stu
To’ qui la sua borsa, e va’ cercane altrove di questo tuo magnifico.
Caterina
Non ti ho io detto che sarà affogato e inpantanato in qualche canale puzzolente? Getta via cotesto brachiere e andiancene a casa, ché noi siamo gli eredi. Io voglio Bigio, caro marito, che tu ti ritiri dalla parte di dietro, e goderemo da vecchietti, perché io affitterò dinanzi e ne caveremo un buon dato di pigione. La sala è larga e sonvi camere, camerette e mille stanzini godibili.
Bigio
Non lo so io? E’ v’è da alloggiar per tutto largamente. Ma se tu tenessi a camere locande per tutto, non sarebbe meglio?
Caterina
Sì bene, e guadagnerassi più ancora!
Bigio
Purché tu possi la fatica di reggere alla gente che verrà. E’ vien tal poltroncione ad alloggiare che si porta com’un asino; non so come tu starai paziente con costoro!
Caterina
Come e’ saranno così disonesti, io volterò lor le spalle che gli allogino altrove; sì fatti carichi non mi tirerò io mai adosso.
Bigio
Io ti ricordo poi che le stanze son capace di molti, e volendo servire al corso che tu arai, e massime alle furie della Sensa, che tutto il mondo ci capita, vo’ dire che sarà bene tòrre una buona massara, perché io so certo che tu non potrai supplire di qua e di là a tanti, e ti rovinerai le reni; pur fa’ tu.
Caterina
No, no! Io voglio esser sola e mi sento gagliarda, e mi basta ben l’animo di soddisfare a venticinque e cinquanta per una necessità.
Bigio
Poiché ti contenti così, andiamo a metter la scritta su la porta.
Caterina
Quanti danari caveremo noi quando avrò pieno per tutto! E mi gioverà pure a tirare di quelle poste, di que’ mozzanighi larghi e di quei marcelli che empiono la borsa!
Bigio
La fava a’ marcelli e mozzanighi! E’ vi ti pare essere già: contentati pur di grossetti!37Moneta di poco valore (GDLI) Ma sta’ salda, chi è quel bravaccio con quella spada e con quel pennacchio incantonato?

Scena III

Niccolò, Caterina e Bigio
Niccolò
Dove vai tu ladro con la mia vesta intorno? Oh, oh! Tu sei la Caterina! Chi ti ha dato cotesti panni? Quest’altra massara chi è?
Bigio
Sono il vostro Bigio caro caro...
Niccolò
O bestiaccia, imbriaco! Tu m’hai rubato per fuggirti con costei forse?
Bigio
Perdonatemi padrone, io vi dirò tutta la cosa.
Niccolò
Di’ la verità, se non ti ficco questo nella gola!
Caterina
Uh! Uh! Uh! Messere, non fate! Datemi inanzi venticinque frugate a me, più tosto che ferire il poveretto che non ci ha colpa. Udite in prima!
Niccolò
Sta’ cheta tu!
Caterina
Voi siate sì bello, magnifico messere di velluto! O voi siate bene sì ben vestito! Andate voi imbasciadore scrivano su la nave Dolfina?38Una delle più importanti navi della flotta veneziana.
Niccolò
Taci bestia! Di’ su la verità, Bigio!
Bigio
Io dormivo sopra la vesta, e la mi fu tolta per incanto; e poi trovai l’uscio aperto e la camera su la vesta, che la tavola era serrata e la berretta era accesa dalla lanterna, in casa, in casa su, in casa.
Caterina
E io filavo al fuoco dormendo, dove senti’ uno spirito folletto che dimenava forte forte la vostra lettiera con madonna serratisi in camera: eravate forse vostra magnificenza?
Bigio
Qui sta il punto, messere, se eri voi o il folletto, perché arete un pezzo che fare a levarvi di capo queste diavolerie.
Caterina
Io v’ho pianto per morto: sete forse ancora?
Niccolò
Il malanno che Dio vi dia, furfanti! O sciagurato a me io non potrò più comparire in palazzo ad avocare e sono svergognato!
Caterina
Di’ su Bigio quel che dice lo stufaiuolo di quel signore.
Niccolò
Che signore?
Bigio
Non vi so dir altro se non che madonna Laura stanotte colà colà vi cercava con la Maddalena, uno imbasciadore, una reina, che so io che non conosco, e ’l doge doveva essere con la Signoria e si ridevono di voi.
Caterina
E la villania che gli dissono: "castronaccio, mariuolo, bestia"!
Niccolò
A me?
Caterina
A me che avevo la magnificenza della vostra vesta.
Niccolò
Siete voi imbriachi e loro afatto: non si conosce dal viso di questa mariuola al mio, che ho la barba?
Bigio
Noi eravamo in maschera, e la Maddalena ce le ha tolte per andare a Padova, purché la madonna non vadi via per sempre.
Niccolò
Tanto che sete iti in maschera da dovero?
Caterina
Messer sì, accioché non foste conosciuto; e fu bene perché la madonna quando la vi diceva "puttanieri, asassino", la non disse a voi, né a me, perché io non ero voi e la maschera non era me.
Niccolò
Che ha da far Padova, maschera e madonna fuori? Non credo nulla, voi siate cotti dal vino, e io se gli è vero tal novella, non saprei mai con queste bestie che fare e la vergogna. A che siamo o povero Niccolotto de’ primi della contrada! Andate là a casa inanzi, gaglioffi, ch’io per la prima mi vo’ chiarire di questo folletto che va dimenando le lettiere così forte. Sarà forse stato quello che m’avrà con la chiave guasta la serratura.
Caterina
Non vi diss’io messere non ci mettete coteste toppe gentili alla genovese, ve lo dissi pure! Queste nostrali, le quali son maschie, s’usano oggidì, ché da un canto e dall’altro si possono adoperare.
Niccolò
Tu m’hai fracido! Oltre ch’io son fuori e come svergognato mi rimango.
Bigio
Fermatevi messere: se voi volete toccar la mano a quel re e quella reina che v’ha detto Caterina, e’ son qua dietro.
Niccolò
Lasciami veder un poco questi miracoli.

SCENA IIII

Caterina, Niccolò, Cesare[, Druda] e Bigio
Cesare
Ben trovato messer Niccolò.
Niccolò
O là, voi mi conoscete stravestito? Voi chi siate?
Cesare
Sono un gentiluomo genovese mercatante e ho da spendere parecchi mila ducati.
Bigio
Il mio messere non può vendere, ché ' suoi beni son di fede scommessi.39Proverbio, probabilmente per catafora (cf. Zucca, I p 1 4).
Niccolò
Diavol cheta questa bestiaccia!
Cesare
E Maddalena, la quale è in casa la Signoria Vostra, è mia consorte e cara donna.
Caterina
Voi ne tenete un bel conto a tenerla per fante! Andategli dietro, non è ella ita a Padova?
Niccolò
Via famigliacci, andate in là quando favellano i gentiluomini!
Cesare
Noi sconosciutamente fuggimmo dalla patria e siamo incogniti con altro nome. Ora ci conviene palesare, e con quello onore ritornare a Genova che si conviene, avendo giustificato il mondo con l’innocenza mia; e sono, per dire il tutto alla Signoria Vostra, padre di Laura vostra moglie e mi chiamo Gregorio Spinola.40La famiglia Spinola è una delle più importante famiglie dogali di Genova.
Niccolò
Voi sete suo padre? E Maddalena suo madre?
Cesare
Al vostro servizio, messer mio caro più che padre.
Niccolò
Io son tutto intenerito! Oimè, voi siate mio padrone e tutta la casa e ciò che io ho è vostro! O moglie mia cara, mi par mill’anni di vederla.
Cesare
Questa è la signora Druda la quale ho fatto tor per moglie allo stufaiuolo; e io gli do la dota e meco tutt’e due verranno a Genova dove staranno benissimo. Io, la mia donna ed essa venivamo stanotte per notificarvi il tutto, e trovarvi infaccendato intorno a quella porta che la Signoria Vostra volle sforzare per venire di sopra a questa femina ora da bene.
Niccolò
Perdonatemi, tutti gli uomini son di carne.
Bigio
Caterina! Senti che son parenti. E’ somiglia ancora tutto colui che mi dette i mozzanighi. Am? Signore, il mio messere vuol ch’io stia cheto: ditemi, è vostro figliuolo quello che forse m’ha rubato i panni?
Cesare
La vostra veste con inganno gli fu rubata da colui di chi sono cotesti panni per farvi, a parlar netto, vergogna in casa. Chi la tolse e come l’è andata udirete tosto che siamo tutti in casa.
Caterina
Che sì che noi faren nozze!
Niccolò
Ringraziato sia Dio, io son tornato in me e potrò comparire! Andiamo in casa ch’io veggo che la ci viene aperta.
Caterina
Tu non vedi là, Bigio, lo stufaiuolo che s’è rivestito e passeggia al fresco?
Bigio
A suo posta: e io andrò a sedere al caldo! Mi sa male che noi abbiamo perduto la casa. Chi fa il conto senza l’oste fa così.
Caterina
A suo posta: va’ pur dentro che io credo che messere gli paia mill’anni di saper chi tentennava la sua lettiera, e anch’a me!

SCENA V

stufaiuolo Solo
Chi direbbe ch’io fussi quello dal berrettino o cappelletto di paglia? Non paio un gentiluomo forse? Tal mi diceva "ignudo poltrone" che mi darà del signore. Orsù, il mondo è una gabbia da pazzi! La virtù non si fa valere se la non ha de’ tif taffi41Tif taffii: suono che imita il fruscio o lo sfregamento dei tessuti (GDLI). attorno; come si sente sonar la seta, le sberrettate volano: "signor sì, messer qua, e illustrissimo là"! Se fosse l’imperadore in un saio di cotone, e’ toccherà del "tu" e del "fatti in là"! Facciamo a dire il vero: che cosa è la ricchezza alla fine? Epure di tutti i ricchi è tenuto più conto (dai più dico) che de’ virtuosi. Io ho lavato nella mia stufa di grand’uomini i quali venivano là dentro nudi: io non conoscevo differenza alcuna e la mandava tonda42In malora. all’uno e all’altro. Ma poi nello spogliatoio, questo era di velluto e quell’altro di saia vestito, in modo ch’io attendevo a quelle sete e lasciavo da canto la lana. Vien poi veggendo, i mal vestiti i più erano i sapienti e quegli altri parevano un pezzo di carne con due occhi. Vedete a quello che noi siamo sottoposti: a essere schiavi a’ ben vestiti! Volete voi altro che d’una tanta stoltizia nostra me ne crepa il core? Se lo dicesse il sole: tutti abbiamo a essere ignudi e in catasta, e non ne riporterà più il re che il filosofo in mano, tanto varrà il lino quanto la stoppa. Ringraziato sia Iddio! Io sono uscito di stufaiuolo! Dice bene il vero: chi ha da aver ventura, sia dove si voglia, poco senno basta, la lo trova insin nelle stufe! Io me ne andrò a Genova con questo ricco mercatante, con la Druda la quale sposerò e uscirò di stenti. Avete voi veduti quanti casi in poche ore! Ne vedrete degli altri e qui e altrove: il mondo è sopra un certo carro che gli sdrucciola malamente. Lasciami accostare e entrare un poco nella lega del gentiluomo. Tic, toc! Dio sa se sentiranno in tanto piacere debbono essere. Tac, tac!

SCENA VI

Stufaiuolo, Bigio e Caterina
Bigio
Chi picchia? O stufaiuolo! Tu sei sì ripulito! Tu, non sapete voi43Si noti il brusco passaggio dal 'tu' al 'voi'. che quello che mi rubò i panni e la chiave e mi dette da imbriacarmi era fratello di Laura ed era inamorato di lei e non sapeva che la fosse sua sorella? Il bello fu che egli entrò nel letto per contrafare messere, e vi trovò la Taddea vedova in cambio di Laura. Vedi che ventura l’ebbe, poiché la gli voleva bene!
Stufaiuolo
Io so ogni cosa; e madonna Madalena è stata quella che ha riconosciuto suo figliuolo, trovandolo nel letto, e gli ha fatti tòrre per marito e moglie. E io ho presa la Druda.
Caterina
E tu hai Bigio da sposarmi: lo dirò a messere se non gnene di’ tu! Di là in camera terrena, su quel canto di cassa me lo promettesti.
Stufaiuolo
Sarà ben fatto che tu gli manchi di fede. Volli dir mal fatto, e farete una coppia e un paio; e così con tre paia di nozze faremo una bella festa. Or lasciami salir la scala.
Caterina
Eccogli giù tutti ora, ché vogliono andare a casa madonna sposa.

SCENA Ultima

Tutti fuori
Niccolò
L’allegrezza mi farà tre dì lagrimare.
Stufaiuolo
Buon pro vi facci signori a tutti; e voi, messere, perdonatemi vi prego.
Niccolò
Ti perdono, messer sì, volentieri io ti perdono.
Cesare
Ben venga messer Gottardo: non si dirà più stufaiuolo!
Stufaiuolo
I panni rifanno le stanghe:44Gli abiti abbelliscono l'uomo. io ho già guadagnato il messere da la Signoria Vostra. Pian piano andrò al signore!
Laura
O padre mio buono, o fratel caro! Chi avrebbe mai creduto che noi dopo tanti anni e tanti travagli fussimo insieme!
Niccolò
La mia vecchiaia ringiovanirà venticinque anni!
Bigio
Messere, io ho pensato d’uscire oggimai di tanti fastidi.
Niccolò
Tu farai bene, ma in che modo?
Bigio
Io voglio tor qui la vostra fante di cucina.
Caterina
Vedi balordo! Di’ madonna Caterina!
Bigio
La signora Chaterina, e copularmi come comanda la legge.
Bigio
Ecco fatto.
Niccolò
Tu non facesti mai il più cattivo! Va’ che io son contento.
Caterina
Io gli do quanta dote e’ vuole: e già gli ho dati parecchi cornabò. Ma io ne voglio contratto in forma di camera.
Cesare
Egli è bene il dovere.
Bigio
Voi che mi darete, signor Vincenzo, che mi togliesti la vesta?
Vincenzo
Tutti i vestimenti ch’io lasciai alla stufa, poiché ho trovato (lodato Dio) padre, madre, moglie, e sorella per sì fatta cagione!
Caterina
Voi messere che gli darete?
Niccolò
Quella testa di cerbio grande per metterla all’arme vostra.
Caterina
Sarebbe troppo gran presente essendo stato cimieri di casa tanti anni! Non voglio che vi priviate d’una sì fatta requilia.46Reliquia, per metatesi.
Laura
Andiamo, che non mancherà che dare a ciascuno.
Stufaiuolo
Voi vedete spettatori, le nozze di Taddea si vanno a ordire con tutte l’allegrezze del mondo. Quelle del Bigio son tessute parecchi giorni sono. Chi vuol di quelle buone, torni domani; e di queste di Caterina a chi ne piace può restare. Delle mia, a dirvi il vero, non so il giorno appunto, ma io le vo’ fare tanto grande ché se ne dica per tutta questa città, però vi invito tutti e con questo ciascuno con meco ne faccia festa.

Il fine della Commedia

Notes

1. Probabilmente Giacomo Piccolomini, Duca di Montemarciano signore di Camposervoli, nato intorno al 1520, e padre del famigerato bandito Alfonso. La famglia viveva probabilmente a Siena, dove a quanto are nacque Alfonso.Go back
2. Sul nastro che circonda le armi gentilizie dei Piccolomini. In fondo alla pagina nota di possesso: "Questa Commedia é del signor Cav. Raffaello di Lionardo Carnesecchi"Go back
3. Senza vincoli legali, more uxorio, probabilmente.Go back
4. Strumenti usato per i salassi (GDLI), ma con riferimento alle corna, un tema ricorrente in tutta la commedia.Go back
5. Cf. La Mandragola, Atto III, sc. II.Go back
6. La licenza per andare in giro di notte. In molte città era d'obbligo ottenere una licenza per aggirarsi per le strade dopo una certa ora, per non essere scambiati per criminali o prostitute.Go back
7. 'Avete necessità'.Go back
8. Fazzoletto (GDLi).Go back
9. Moneta in uso in Piemonte e a Milano, ma qui scelta per il suo nome evocativo, come in La Zucca, Ib 24 61.Go back
10. Il dittongo ie dopo r è tipico del fiorentino trecentesco; alla metà del Cinquecente resiste sporadicamente come tratto arcaico (Paola Manni, (1979), "Ricerche sui tratti fonetici e morfologici del fiorentino quattrocentesco", Studi di grammatica italiana, 1979, n. 8, pp. 115-179, § 1).Go back
11. Portare polli: favorire una tresca amorosa (GDLI).Go back
12. La battuta è analoga a La Zucca, IVc 53 7, dove viene attribuita al servitore del Doni.Go back
13. 'A mo’ d’archetti': forma di risposta evasiva, quando non si vogliono dare notizie precise (GDLI)Go back
14. 'Tanìe': litanìe, storie (GDLI). Go back
15. 'Fare mula di medico': attendere pazientemente i comodi altrui, perdere tempo in attesa di qualcuno (GDLI).Go back
16. Il passo serve a collocare il tempo del racconto alla notte fra il 28 e il 29 gennaio. Infatti, sembra molto probabile che il patrono degli stufaioli fosse stato San Calogero di Perugia, che uscì indenne da una stufa ardente. San Calogero si ricorda il 29 gennaio, che cade durante il periodo di carnevale, periodo menzionato l'inizio della scena V.Go back
17. 'Tanìe': litanìe, storie (GDLI). Go back
18. 'lieva la gamba': Dio ce ne liberi (GDLI)Go back
19. Brachiere: sospensorio, fascia di cuoio per sostenere l'ernia intestinale o inguinale (GDLI).Go back
20. Trovare l'inchiodatura: trovare il modo giusto per fare qualcosa (GDLI)Go back
21. Mezzana, ruffiana (GDLI).Go back
22. I Niccolotti erano una delle due fazioni in cui si divideva il ceto popolare di Venezia.Go back
23. Il magistrato alle Pompe si occupava di sovraintendere al rispetto delle leggi suntuarie. Go back
24. I Signori di Notte erano la principale magistratura criminale delle Venezia dogale. Devono il loro nome al fatto che inizialmente la loro giurisdizione si limitava a crimini commessi di notte; col tempo li reati di loro competenza si allargarono molto, il che contribuì all'assunzione dei Signori di Notte a un ruolo centrale nella magistratura veneziana. Go back
25. 'Inzuccare': bere vino oltre misura (GDLI).Go back
26. Venezia aveva aperto un proprio consolato ad Aleppo (Siria), in territorio Ottomano nel 1548, che è probabilmente il periodo in cui la commedia fu scritta (cf. Introduzione); non è escluso quindi che questo possa essere un allusione all'evento. Go back
27. Lo stesso adagio si ritrova in La Zucca, IVb 49 47.Go back
28. Anche questo proverbio si ritrova in La Zucca, IVb 43 32.Go back
29. 'Tirare il cordovano': burlare, prendere in giro (per una spiegazione approfondita dell'origine dell'espressione cf. La Zucca, IIIc 7 10).Go back
30. Orecchiare, origliare.Go back
31. Si mantiene l'h pseudo-etimologica che sottolinea l'uso ironico del linguaggio alto. Go back
32. La sonorizzazione della velare intervocalica (miga per mica) è tratto tipico del veneziano, e una delle poche caratterizzazioni linguistiche dei personaggi in senso settentrionale.Go back
33. Il Bosco di Baccano (oggi Valle di Baccano) è un'area boscosa situata a est del lago di Bracciano, attraversato dalla via Cassia e famoso dal Medioevo in poi per essere infestata dai ladri.Go back
34. Nuovo di trinca, mai indossato.Go back
35. 'Companatico' (GDLi)Go back
36. Ancora una volta il riferimento è alle corna, elemento comico caro al Doni (si veda, per esempio, anche la Baia Ultima dedicata 'Al Cornieri da Corneto' in La Zucca, Ib 24).Go back
37. Moneta di poco valore (GDLI)Go back
38. Una delle più importanti navi della flotta veneziana.Go back
39. Proverbio, probabilmente per catafora (cf. Zucca, I p 1 4).Go back
40. La famiglia Spinola è una delle più importante famiglie dogali di Genova.Go back
41. Tif taffii: suono che imita il fruscio o lo sfregamento dei tessuti (GDLI).Go back
42. In malora.Go back
43. Si noti il brusco passaggio dal 'tu' al 'voi'.Go back
44. Gli abiti abbelliscono l'uomo.Go back
45. Allusione all'espressione saltare al granata, vale a dire uscire dalla tutela dei superiori, affrancarsi, con riferimento al gergo militare dove alle reclute si chiedeva di saltare una scopa adagiata in terra per marcare la fine del periodo di addestramento (Note al Malmantile, VI 66). Go back
46. Reliquia, per metatesi.Go back